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martedì 15 febbraio 2011

I diritti dell'assassino

La domanda è giuridicamente decisiva: di fronte a crimini odiosi, ma il discorso vale in generale, fino a che punto siamo disposti a delegare alle necessità di accertamento probatorio delle responsabilità penali – accertamento  “al di là di ogni ragionevole dubbio” – in nome di sillogismi deduttivi sia pur di buon senso? Cioè, è bene di fronte a indizi pur forti e a ragionamenti persino condivisibili approvare, e anzi invocare, condanne pesanti – la galera, magari per venticinque anni - anche in assenza della prova determinante? No, che non si può. L’essenza del garantismo, l’essenza degli stessi diritti individuali di fronte alla legge, è seduta proprio su questo malfermo muretto, che separa la norme valide per tutti dall’arbitrio – e fa nulla se questo confine risulta a volte impalpabile, quasi una sfumatura. E in questo senso suona strano sentire la ministra Carfagna, quella che si spertica in filippiche contro la persecuzione ai danni di Berlusconi e alle accuse a lui mosse a suo dire senza prove – parere legittimo, intendiamoci - suona strano sentirla scandalizzata per una sentenza arrivata al termine di un processo di cui non conosce gli atti, non ha seguito lo svolgimento, e insomma, di cui sa nulla.  Sa solo che quello doveva essere condannato. Perché la gente l’aveva già fatto. E dunque così doveva andare.

Si sta qui parlando dell’assoluzione di Luca Delfino, l’uomo che era imputato d’aver ucciso la sua fidanzata. E un anno e mezzo dopo quel delitto, lo stesso Delfino ha poi effettivamente ammazzato un’altra sua ex, assassinio per cui è stato condannato. E, per quanto riguarda la prima vicenda,  esistono persino prove della sua presenza nei pressi del luogo del delitto. E quella sera aveva effettivamente litigato con la donna poi morta. E però per un anno lo stesso magistrato titolare dell’inchiesta non l’aveva arrestato, proprio perché riteneva di non avere in mano una prova processualmente determinante. Poi arrivò l’altro delitto, e le comprensibili polemiche seguenti, «perché era ancora in giro? Perché non era in galera?». Ora quest’altro processo, al termine del quale – come detto - Delfino è stato assolto. Nell’arringa conclusiva, il suo difensore s’era appellato ai giurati, «non dovere giudicarlo in base all’altra condanna, dovete giudicare se l’accusa è riuscita a portare prove della sua colpevolezza in ordine a questa vicenda, e se avete un minimo dubbio dovete assolvere». Giusto. Al-di-là-di-ogni-ragionevole-dubbio. E i giudici hanno assolto. 

Ora, superfluo sottolineare che non si parla di verità assoluta, ma di verità processuale. L’omicidio è orribile, il personaggio certo detestabile, gli indizi tanti. E’ persino più che ragionevole credere che sia effettivamente lui, il colpevole. Basta? No, non basta. Che poi uno dice: ma scusa, ma chi vuoi che sia stato? Adesso basta? Ma no, che ancora non basta. E non è mica questione di formalismo. E’ che aggirando la regola, il processo si riduce poi a una patetica pantomima.

E’ sempre così: tutti quanti sono garantisti con i loro amici, o comunque con quelli di cui hanno buona considerazione, poi se ne dimenticano quando si tratta di persone che invece giudicano poco meritevoli, se non addirittura "cattive". Ma anche gli assassini devono poter contare sui diritti garantiti a tutti gli altri: sembra banale, in Italia non lo è. Regola certo a volte difficile da accettare. Ma l’unica possibile.

lunedì 20 dicembre 2010

Stile Gasparri

E comunque, il problema non sono tanto le consuete sparate fascistoidi di Gasparri sugli arresti preventivi e gli assassini in corteo – ché proprio non sorprendono -, quanto capire se raccolgano il favore degli elettori di Pdl e Lega, vale a dire di quella che allo stato attuale rappresenta la maggioranza dei votanti. Nel qual caso sarebbe sì grave davvero, conferma (ennesima) che i basilari concetti alla base di una concezione liberale dello Stato sono ormai del tutto dimenticati, in nome di un dibattito politico che riesce a raggiungere livelli di rozzezza degni del peggior barsport.

E tra l’altro, per quanto riguarda gli arresti preventivi, il riferimento di Gasparri all'inchiesta del '79 su Autonomia Operaia è del tutto fuori luogo, e ne dimostra la malafede o quantomeno l’ignoranza. Nel senso che, allora, i vertici di Aut Op furono arrestati perché ritenuti comunque responsabili di un reato commesso – il pm in sostanza ipotizzava che fossero il livello pensante che manovrava i brigatisti responsabili del sequestro Moro -, ipotesi di reato poi rivelatasi giuridicamente inconsistente. E dunque, nemmeno allora si arrivava a invocare l’arresto ancor prima che l’eventuale delitto fosse commesso, questo sì un mostro giuridico.

Tornando alle eventuali opinioni favorevoli alla sciocchezza-Gasparri, la prima reazione potrebbe essere quella di rinunciarci, di arrendersi di fronte all’evidenza che gran parte degli italiani si dimostra ormai del tutto assuefatta, pronta ad annuire a qualunque bestialità, o comunque a non farci caso. E invece no, è ancor di più necessario parlare, argomentare, far capire come sia una perversione politica lucidamente perseguita, quella di continuare a coltivare la frustrazione effetivamente esistente e anzi montante, alimentando e mantenendo ad arte una costante sensazione d’insicurezza su cui far leva strumentalmente. In sostanza, ci fanno vivere di merda autoeleggendosi a soluzione del presunto problema, che però non viene mai risolto proprio perché, altrimenti, perderebbe di senso la loro stessa ragione sociale.

Anche perché, quando non è più possibile nasconderla, la presa in giro emerge fragorosa. E l’opposizione, per dimostrare di essere uno schieramento politico degno di questo nome (...), dovrebbe evidenziarle con forza, queste contraddizioni. Molto più che accanendosi contro il Berlusconi puttaniere o quant’altro, strategia che - come s’è visto - non solo non paga, ma è addirittura controproducente.
Tipo, tanto per fare un esempio e restando in argomento sicurezza: adesso la Regione Veneto ha necessità di tagliare il bilancio, dunque diminuendo le spese. E che cosa succede? Succede che vengono diminuiti anche i fondi destinati proprio alla sicurezza. Ragion per cui d’improvviso il leghista Gian Paolo Gobbo – sindaco di Treviso ed erede di quello “sceriffo” Gentilini che dava delle scimmie agli immigrati e sbraitava contro i delinquenti che infestavano il nordest e voleva le ronde e tutte le stronzate di rito padano –, e insomma 'sto leghista Gobbo ora dice che «soldi non ce ne sono, in ogni caso la sicurezza non è più un’emergenza». Capito? Han conquistato le poltrone e devono far quadrare i conti e non bastano più i rutti e le bestemmie, e adesso di colpo «la sicurezza non è più un’emergenza». Dopo che per anni ce l'hanno menata - e certo torneranno a farlo quando gli farà gioco - raccontandoci di essere assediati da orde di criminali.
Ma vaccaghér.

mercoledì 10 novembre 2010

Esempi Radicali (liberi)

Ma allora si può. Ci si può ancora scontrare, eppur ragionando di politica. Si può persino – pensa te – fare opposizione a questo fallimentare governo senza travestirsi da moralisti e spiare le mutande di Berlusconi, che sinceramente repelle parecchio, o d’altra parte senza sproloquiare di rottamatori e future convergenze, che uno nemmeno capisce di che cosa si parla. Si possono  sollevare problemi, denunciare aberrazioni e magari indicare soluzioni. E il fatto è che, poi, si raccolgono pure i frutti, di così strano – per l’Italia - approccio politico. Cioè, uno segue campagne giornalistiche pornosoft e subisce le grida da talk-show e assiste ai vaffanculo mussoliniani dei nuovi guru da palcoscenico, e nulla o quasi si muove. E poi invece chi, all’atto pratico - e al netto del tafazzismo di Berlusconi -, crea i problemi più grossi al carrozzone governativo sono  – guarda un po’ – i Radicali. Proprio loro, che sui giornaloni passano per essere solo e sempre quelli del “cosa? ancora uno sciopero della fame?”. L’ultima è, per l’appunto, quella dell’emendamento presentato da Matteo Mecacci, deputato radicale classe ’75 (e poi ne riparliamo, dell’età), per impegnare il governo a ottenere da Gheddafi garanzie sul rispetto dei diritti civili nelle operazioni di respingimento dei clandestini. Emendamento passato nonostante l’ovvia opposizione del governo filo-raìs, così provocando il primo vero scossone parlamentare. Dice: ma non sarebbe stato così, se i finiani – buoni quelli - non avessero cambiato bandierina. Eccerto, ma fa parte del gioco: e però ci vuole competenza e tempismo. E soprattutto idee chiare sui princìpi: non si tratta solo di tattica ma anche di sostanza, visto che in questo caso si discute di salvaguardia di diritti umani.


Ora, non è che si vuol intonare il peana – e in questo senso meglio autodenunciarsi, visto che chi scrive dei Radicali è  tifoso – ma è un fatto  che, nel recente passato, è stato sempre il drappello liberale e libertario - aggettivi troppo spesso dimenticati - a creare veri problemi alla maggioranza.  Cioè, dopo lo scandalo Marrazzo e le seguenti elezioni laziali e il poco dignitoso fuggi-fuggi progressista in vista della batosta data per scontata, chi s’è messa a pedalare quasi sfiorando il clamoroso colpaccio? La Bonino. E in quell’occasione è stato sempre un esponente radicale – Diego Sabatinelli, quarantenne – a smascherare il pastrocchio delle firme del PdL. E, restando in argomento, si deve al radicale Marco Cappato – milanese, 39 anni e già un’esperienza politica nazionale e internazionale da far invidia – l’emersione di quella farloccata che è stata la raccolta-firme dei formigoniani, in vista sempre delle ultime Regionali.  E le carceri, scandalo italiano che tutti quando se ne parla in tivù sfoderano l’espressione contrita - «…ah sì, questo è davvero un grave problema da risolvere…» - e poi però è sempre Rita Bernardini che si prende la briga di andare e vedere e denunciare, il più delle volte nel disinteresse più assoluto – anche da parte della “sinistra”, e le virgolette non sono per caso. 
 
E poi uno può essere d’accordo o meno sulle loro battaglie politiche e civili – e tanto per ribadire, chi scrive lo è – e però sono questioni reali, concrete che di più non si può. Le garanzie di giustizia per vittime e imputati e detenuti, sconosciuti o potenti o rom che siano. L’autodeterminazione della propria vita dal principio alla fine. I diritti da riconoscere anche a legàmi che non rientrano nei canoni pseudo-cattolici. E ce n’è molte altre, ce n’è i pacchi, e non soltanto nazionali – così, tanto per ricordarsi che oltre le Alpi c’è di più. Tutte così lontane, in effetti, dalle pippe formalistiche e dagli equilibrismi cui questo fantomatico Partito Democratico ci ha abituato. 

Ed è anche comprensibile, per la verità, che coloro che in linea di principio potrebbero riconoscersi  in questo tipo d’approccio – e dunque trattasi di persone in genere allergiche agli intruppamenti e alle logiche di scuderia –, è comprensibile, dicevamo, una certa diffidenza verso l’incontestato e incontestabile e immarcescibile leader, il “Papa radicale”, il Pannella che qualcuno ha descritto come un Crono pronto a sbranare i figlioli che s’azzardano a fargli ombra o a contraddirlo – e, osservando dall’esterno, non risulta nemmeno così difficile a credersi. Ma, come dimostrato dalle età degli esponenti sopracitati, non mancano certo le nuove leve, in grado di incidere davvero nelle vicende politiche. Senza tanti ballarò.
 
E alla fine, se volete, tenetevi pure Vendola e Renzi. O magari Bersani, che così imparate.