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mercoledì 15 dicembre 2010

Punto e a capo

Qualche inutile considerazione di un dubbioso incazzato.

1) Sul fatto che Fini abbia deluso nei momenti decisivi, come quei discreti giocatori che però non riescono mai a diventar campioni, hanno scritto un po’ tutti. Dopo Almirante, il Fronte, l’Msi, An, sedici anni fianco a fianco con Berlusca, ultimamente c’era chi – anche e soprattutto a sinistra – lo dipingeva come il nuovo fenomeno della politica italiana. Il Maradona. Ma rischia invece di restare un Maiellaro qualunque. Poi possiamo giustamente indignarci per il mercato dei parlamentari, e però ricordando che trattasi di abitudine diffusa da una parte e dell’altra, basta dare un’occhiata qui.




2) In tutta questa vicenda è emersa ancora una volta l’inconsistenza  - più che altro l'irrilevanza - dell'attuale “sinistra”, e del Partito Democratico in particolare. Per mesi la politica, l’opposizione al governaccio, le speranze di un cambio d’orizzonte, tutto è rimasto all’interno dei confini del centrodestra. Mentre dall’altra parte, illudendosi che il regno del Cavaliere fosse davvero alla fine – e comunque, non è ancora detto che non lo sia -, ci si limitava a prefigurare improbabili alleanze con Fini, e più che altro ci si scornava su questioni incomprensibili: ed ecco Bersani che litiga con Renzi, D’Alema (ancora?) che litiga con Veltroni (ancora?) e poi fanno la pace (ancora?), Vendola che cerca d’inserirsi. Uno spettacolo inverecondo. Salvo poi convocare la solita, inutile, retorica manifestazione del sabato pomeriggio. E intendiamoci, dimostrare fisicamente la propria insofferenza va anche bene. Ma poi ci vorrebbe pure qualcos’altro. Tipo un’idea, una proposta degna di questo nome. Una faccia, cazzo. O, perlomeno, smetterla di dar l'impressione di discutere soltanto di questioni tattiche, alleanze, fronti più o meno comuni. Per dire, il primo esempio che viene in mente: è uscita la prevedibile notizia che la pressione fiscale, con Berlusconi al governo, è aumentata. Si è sentito qualcosa, da sinistra? Poco o niente.

3) Ma quel che sempre di più è evidente è la totale inutilità dei vari dipietri, popoliviola, grillini e via dicendo. E quando ne parli con gli amici che invece aderiscono al movimento à la page in quel momento, ecco che la girano dandoti del collaborazionista, «almeno noi facciamo qualcosa».  E non c’è modo, nemmeno facendo notare come la banda Grillo già stia mostrando dinamiche da setta religiosa, e ‘sto popolo viola mobilita quattro gatti non di più, e le bordate di Di Pietro son roba da vergognarsi. E mica si vuol negare il valore di una sollevazione di coscienze: va bene, sfanculate/sfanculiamo tutto e tutti, e sicuro che inizialmente si prenderanno tanti (facili) applausi, e poi vai con le spillette, e le convention, i meet-up, i siti internet. Ma non basta, cazzo. Non basta cantarsela uno con l’altro, ché altrimenti si arriva alla masturbazione collettiva. Come detto, ci vuole anche dell'altro. Campagne che vadano al di là delle generiche parole d’ordine che significano tutto e niente, un altro modo di parlare e di porsi. Meno annizero, più incontri nelle sezioni di paese. Ci vuole che, oltre a manifestare il ribrezzo per Berlusconi, si passi il tempo  - più tempo, cazzo, più tempo – a costruire un’alternativa credibile, riconoscibile. Che sia in grado di discutere anche con i tanti delusi da questo governaccio, e a cui però non basta dirgli «Berlusconi fa schifo» per convincerli a votare uno come Bersani: piuttosto non votano. E' davvero così incomprensibile?

E poi, un’ultima cosa: ci si lamenta dei cosiddetti black bloc, che – ed è verissimo – di fatto annullano le buone ragioni  dei tantissimi che invece protestano pacificamente. Ma scusate, ma se uno definisce Berlusconi un dittatore, un «Noriega» (Di Pietro dixit), uno tipo Mussolini, ma allora come si fa a dire a questi stronzi che non devono assaltare e menare e incendiare? Un dittatore, un dittatore vero, si combatte anche con la guerriglia, no? E allora di che cosa ci si lagna?

giovedì 2 dicembre 2010

Conformismo a volto coperto

Ogni comunità, intesa come gruppo più o meno numeroso di persone unite da un qualsiasi interesse comune, sviluppa nel tempo modalità di relazione che spesso s’irrigidiscono in riti stantìi, gesti magari un tempo spontanei che degenerano in tic, idee che smettono di svilupparsi e si cristallizzano in slogan ripetitivi e monocordi. In una parola, il conformismo – strano parassita che cambia fisionomia  a seconda dell’ambiente in cui si sviluppa. Oggi, su Repubblica, Michele Serra smonta efficacemente l’insopportabile e ormai anacronistica retorica che si cela dietro l’immagine del “rivoltoso a volto coperto”, uomo-immagine delle proteste del sabato pomeriggio (e quanto si piace, quando si prepara e si guarda allo specchio e poi esce per andare alla manifestazione con la felpa e il cappuccio nero e la sciarpa sulla faccia).

Mi importa relativamente poco sapere se gli studenti in corteo siano più o meno di sinistra, più o meno estremisti, più politicizzati o più caciaroni, più ragionevoli o più eccitati. E sono certo che la mia esperienza personale e la mia formazione politica non possono valere anche per loro. C’è un solo discrimine (invalicabile) che mi impedisce di solidarizzare con alcuni di loro, ed è quando vedo volti coperti. Le maschere e i segreti definiscono il potere, che ha sempre qualcosa da nascondere. Non certo le persone libere. Le persone libere mostrano il volto, e sono così sicure delle proprie idee e del proprio diritto da non temere la repressione, e/o da affrontarla, quando occorre, a viso aperto. A volto coperto si fanno le rapine, non le manifestazioni. A volto coperto hanno agito e agiscono i violenti, i provocatori, gli ultras da stadio. I ragazzi e le ragazze di Teheran, a rischio della vita, sfilarono a viso aperto. Il volto coperto e i caschi con la visiera calata li usavano gli sgherri del regime. Se i nuovi cortei si lasceranno occupare, invelenire, usurpare da chi agisce a volto coperto, una lotta che è di tutti, che è pubblica, diventerà il campo di battaglia privato di pochi energumeni, di pochi egoisti. E’ già accaduto. Non deve accadere ancora.