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venerdì 28 gennaio 2011

Saviano in piazza, Santoro pure
Ecco le Primarie (con televoto)


Paradosso ma neanche tanto, visto il bailamme in cui si dibatte il Partito Democratico e l'impopolarità apparentemente inarrestabile dei suoi leader ufficiali.
Allora, c’è Saviano che pontifica e indirizza e in sostanza sempre più spesso dice la sua sulla linea che il partito dovrebbe adottare, e in tivù lo guardano a milioni, e il 5 febbraio se ne va con Eco e Libertà e Giustizia a Milano contro il Berlusca.
E c’è Santoro che, dopo gli schiaffi televisivi assestati al Cavalier Arrapaho (e a milioni in tivù l'han seguito), prende per mano Travaglio e il 13 va sempre a Milano a fare il girotondo intorno al Tribunale, per difendere i magistrati e, in sostanza, contro Berlusconi.

E insomma, ecco i candidati. Ecco le Primarie. Ma c’è il televoto?

mercoledì 24 novembre 2010

E parla bene. Ovvero: Saviano e la sinistra in tivù

Discuti, t’appassioni, finché ti scaldi e addirittura alzi la voce che gli altri ti guardano strano, «ma possibile che devi sempre infervorarti in questo modo? guarda che sembri un matto». Poi torni a casa e vedi i politici in televisione o ne leggi le dichiarazioni e le interviste, sarebbero quelli che in linea di principio t’aspetti possano dire qualcosa per cui valga la pena per l’appunto d’appassionarsi e scaldarsi e alzare la voce e litigare come hai fatto fino a mezz’ora prima, e invece ti cadono i coglioni. Ti senti un babbione.  Nel senso che li percepisci così lontani, questi che fra poco ti chiederanno il voto. Lo/la/li vedi parlare ma non  arriva nulla o quasi. Per dire, ti chiedi perché una come la Serracchiani - che era emersa proprio perché sembrava parlasse diversamente, si ponesse diversamente, argomentasse diversamente - ora invece pare irrigidita, irreggimentata, noiosa e ministeriale. E dice anche cose condivisibili, intendiamoci. Ma non scalda, non coinvolge, e anche non convince più di quello che le si oppone , lei che per un attimo ci era riuscita. E l’interesse, la passione evaporano. Una scusa per nascondere la tua incorreggibile superficialità? Può essere. E poi cos’è questa necessità di essere “scaldato”, non ti bastano i concetti? E non ti rendi conto che insomma, una cosa è parlare al bar e un’altra è invece argomentare con serietà? «Eddài, vorresti che facessero come Berlusconi?». No, certo no. Ma insomma.

E però poi uno vede che c’è anche un altro modo.  Saviano che fa  nove milioni e rotti di telespettatori. E certo, le perplessità su alcune sue generalizzazioni restano intatte, e la trasmissione t’annoia pure (ed eccone qualche ragione). Ed è anche vero che un conto è avere a disposizione tutti quei minuti per parlare, un altro confrontarsi con i tempi contingentati e Gasparri che ti dà sulla voce e tu vorresti invece dargli sulla testa.  Ma non è questo il discorso che qui si vuol fare, non è un pro e contro nel merito, stavolta. Cioè, al di là di tutto, è chiaro che si tratta di un’operazione tele-politica, quella di “Vieni via con me”.  Nel senso: Saviano in questo momento viene percepito – e dunque è - un esponente politicamente schierato, un politico del centrosinistra. E anche come tale può essere valutato.  Ed ecco, c’è questa cosa: riesce ad apparire diverso, Saviano. Riesce a tirare in mezzo tanta gente – magari non me, ma chissenefrega.  Risulta più credibile per molti, anche se tale non sempre è. L’effetto novità? Può darsi. Ma sarebbe il caso di valutare se non sia  anche e soprattutto proprio una questione di linguaggio, comunicazione, atteggiamento. Nel senso anche superficiale del termine: parole più comprensibili, esempi più semplici, tono di voce più coinvolgente. Persino il viso, le movenze. E non è nemmeno che Saviano sia così abile, in video. Anzi, risulta persin impacciato – e in effetti anche questo finisce per essere un pregio. Naturale che queste considerazioni andrebbero poi svolte in direzioni meno generali, ma insomma, questo è il discorso. In ogni caso, continuando con il paragone con la Serracchiani – lei perché è fra quelle  indiscutibilmente in gamba – ecco, però sembra già una, come dire?, una fagocitata nella recita. Sembra Rosi Bindi, e sia detto con tutto il rispetto.

Dice: sì, ma i ragionamenti di Saviano sono grossolani. Perché, l’altra sera Bersani ne è uscito meglio? Non sembra. E Renzi ne esce meglio? Bah, facessero un referendum, ma l’impressione è che la differenza venga colta da chi si è già fatto un’idea, non da quelli che devono essere tirati in mezzo. E d’altro canto, anche Vendola risulta sempre più retorico. Saviano nella retorica ci ha intinto tutt’e due le mani, in queste serate, ma resta il fatto che viene percepito diversamente.

Intendiamoci, nessuno grida al Saviano presidente, ovvio non sia questo il punto. Ed è anche vero che il successo della trasmissione non significa necessariamente che qualcosa nell’aria stia cambiando. Ma qualche ragionamento in più sul modo di porsi e di parlare alle persone, ecco, non sarebbe tempo perso. Lo si è già fatto, lo si fa continuamente, ma evidentemente non si trova la via. Perché di quel che parlano a sinistra, si arriva a capire poco e male. E questo è un fatto. Poi si può anche sostenere che è colpa di chi ascolta malamente, ma sai che consolazione.

giovedì 18 novembre 2010

Caccia al Saviano (e occhio alle banderillas)

Nel mezzo di quest’irritante berciare sul pro e contro Saviano, con i consueti schieramenti contrapposti a sputarsi addosso  e giornali che addirittura raccolgono firme in sostanza per dargli dello stronzo, ecco invece su Lettera 43 un pezzo che cerca di mettere in fila qualche concetto su cui ragionare riguardo al discorso 'ndrangheta-nord-Lega. Consigliato, che così uno non perde il vizio di farsi un'idea al di fuori delle sempre più insopportabili logiche da tifosi da stadio.
Che poi Saviano scivoli su generalizzazioni a volte superficiali, bé, è successo, e lo si può anche dire senza passare per filo-leghisti. E poi uno rilegge alcune sue dichiarazioni mica così antiche. Tipo quando a Buttafuoco, quest’anno, parlava di Maroni come di «uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre sul fronte dell’antimafia». O ancora prima, e diceva che «non sopporto il sinistrume alla “noi siamo i sani, gli altri i corrotti e infami”» (e non era certo una critica alla "sinistra" in quanto categoria politica, ma all'atteggiamento di chi si vuol ergere sempre e comunque a depositario della Verità). Questo per dire che cercava di staccare ogni etichetta posticcia dalla sua importante battaglia di sensibilizzazione contro il malaffare mafioso. E insomma, l’impressione – sia detto con rispetto, ché la caccia al Saviano è sport che ripugna – l’impressione è che ultimamente indugi troppo nella ricerca degli applausi, per la verità sempre più numerosi, e però lo faccia ben sapendo qual è la fazione che attualmente lo sta eleggendo a beniamino - e qui s'intende non tanto il pubblico televisivo, quanto i caporioni politici e mediatici. Basta sia consapevole del fatto che stanno piantandogli la bandierina sulla testa, da una parte e dall’altra ("ha sempre ragione", "no, ha sempre torto"). Il suo ruolo in commedia è pronto, gliel'hanno ritagliato su misura. Speriamo scappi in tempo.

UPDATE: e a proposito di gente con le palle, ecco il servizio di Marco Mathieu su Giulio Cavalli, attore e consigliere regionale sotto scorta per aver denunciato la presenza della 'ndrangheta in Lombardia.

martedì 9 novembre 2010

La versione di Saviano su Falcone

E insomma, sarebbe ormai il caso di cambiare prospettiva e accenti, quando si parla di Saviano. Premessa: quelli che ce l’hanno sullo stomaco è meglio si prendano un’alka seltzer. Saviano è ormai giornalista famoso e seguìto, il suo punto di vista interessa a molti e non si capisce perché non debba esprimerlo in televisione, tanto più che fa ascolti da paura (e a proposito, anche questa cosa del “giornalismo snob” mostra la corda: cioè, la trasmissione sarà pur risultata a tratti noiosa e anche retorica, ma questo è parere mio, e però ha quasi doppiato  il Grande Fratello, vedi un po’. Non che questo sia necessariamente indice di qualità, intendiamoci, ma "snob" proprio no: al limite nazional-republik-popolare).   
Tornando al dibattito Saviano sì Saviano no, lo schema è ormai stucchevole e ripetitivo: da una parte sempre e comunque stronzo (e chissà perché), dall’altra sempre e comunque santo. Possibile che non si possa discutere nel merito delle cose che dice? Per dire, ieri ha monologato su Falcone, emblema di vittima della “macchina del fango”. Verissimo, ed è giusto ricordarlo. E però, allora, Saviano dovrebbe  raccontarla tutta, non limitandosi a indicare i detrattori del giudice con un generico e quasi sussurrato “destra, sinistra e centro”. 
Nel senso: anche e soprattutto a causa dei toni spesso sciagurati che quest'indifendibile centrodestra usa contro la magistratura, vien automatico pensare che anche Falcone sia stato attaccato e isolato da quella parte politica. E invece, cercando di andare oltre le logiche di schieramento, non è proprio così: gli attacchi a  Falcone, il suo presunto “protagonismo”, la sua prudenza - considerata eccessiva - nei confronti del “terzo livello” e dei referenti politici di Cosa Nostra, tutte queste cose gli venivano rinfacciate – chessò – da Leoluca Orlando, allora sindaco di Palermo e attuale esponentissimo dell’Italia dei Valori, e anche da certa stampa di pseudo-sinistra a caccia di teste da mozzare (che una volta era caratteristica della destra, invece): l'Unità gli diede dell' "insabbiatore", Repubblica lo paragonò ai "guitti televisivi" - citazioni testuali, queste. Ovvio, criticare è legittimo anche quando si tratta - "si trattava", in questo caso - di Falcone. E però basta poi non far finta di nulla: e penoso fu lo spettacolo che seguì l'attentato, quando - per dirla con Montanelli - tutti corsero a farsi vedere "con le unghie conficcate nella bara".
E sempre Saviano, nel suo intervento, ha arringato su immagini di un vecchio convegno cui proprio Falcone aveva partecipato: e però s'è scordato di ricordare (...) che il giudice saltato in aria a Capaci si diceva, anche in quella sede, favorevole alla separazione delle carriere fra giudici e pm, e criticava la “visione feticista dell’obbligatorietà dell’azione penale”, e anche si dimostrava più che diffidente nei confronti di un Csm in cui “le correnti si sono trasformate in cinghie della lotta politica”. Tutte considerazioni  oggi etichettate come “irricevibili e indifendibili” dagli stessi commentatori sedicenti “progressisti”, quelli che si sono autonominati difensori del diritto – in un Paese, e questo è innegabile, in cui il diritto se lo son dimenticato in molti.
E questo mica per fare la classifica. Però si parla tanto di memoria che quasi quasi ci si dimentica dei fatti.

UPDATE: sarà anche cattivo, però merita il pezzo di Rondolino su Frontpage.