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sabato 18 giugno 2011

Oh, scusa, ma tu da che parte stai?

Ma insomma, è possibile essere profondamente ostili a Berlusconi e tutto quel che rappresenta e però trovare insopportabile il conformismo dei discorsi di troppi antiberlusconiani, che quando cominciano a parlare d’un qualche argomento già sai in partenza quali sono premesse e svolgimento e conclusione, e se poi provi a discuterne ti rendi conto che hanno ben chiaro lo schema e poi chissenefrega di metterlo in discussione tanto è così? (...e quando non sanno che cosa controbattere a una tua eventuale contestazione, ecco che parte il “ma cosa c’entra?”).

E si può considerare la riorganizzazione del mercato del lavoro un problema essenziale e prioritario di questo Paese, e però accorgersi d’essere ormai insofferente al comizio del solito precario in favor di telecamera che è tutto uno slogan che più generico e denagogico non si può?

E si può amare artisticamente Benigni e i suoi film (non tutti, però) e apprezzarlo quando legge Dante e anche quando dispensa retorica sull’inno, e però trovarlo noioso e stancamente prevedibile quando salta in braccio e si butta per terra e ripete per l’ennesima volta la gag del pinocchietto monellaccio?

No, perché poi succede come al solito: che ti schifano sia da una parte, sia dall’altra.

Mi sa che ho bisogno di una vacanza.

mercoledì 15 giugno 2011

Giochi di ruolo (ovvero: la gente fa schifo, ma dipende)

E vai, che ci si cambia di ruolo, tu vieni al mio angolo che adesso tocca a me stare un po’ nel tuo.

Perché insomma va bene, referendum passati, ennesimo sberlone rifilato all’impresentabile cialtrone di Arcore, grande festa, evviva evviva (e sia detto senza ironia). E però, una cosa risulta francamente insopportabile. Con parecchi di quelli che adesso si sbracciano e sventolano ed esultano per “la svolta” e addirittura “sono orgoglioso di essere italiano”, ecco, sono gli stessi che fino a un mesetto fa  “che schifo gli italiani” e un popolo di pecore e “che Paese di merda” e via nauseandosi e insomma, che morissero tutti, questi stronzi che votano diversamente da come voto io.

Adesso non più.
Adesso chi prima era una sorta di decerebrato privo di qualunque coscienza civile e obnubilato dal Grande Fratello è improvvisamente ritornato ad esser degno d’esistere.

E dall’altra parte, a destra, è la stessa cosa, solo uguale e contraria. Che per anni ci hanno tormentato con “il popolo” e “l’importante è come si esprimono gli elettori” e ancora “i radical chic che snobbano il sentimento popolare” e “viva la cultura del rutto abbasso la cultura de sinistra”, e poi guarda un po’ che adesso il popolo è diventato - stavolta per loro - una mandria facilmente condizionabile e si son fatti turlupinare e han voltato le spalle a Berlusconi per colpa dell’aggressione mediatica e sui referendum “ha vinto la paura”. E via così.

E per concludere: che pena quelli che la gente è intelligente e informata e degna di rispetto ma soltanto quando la pensa come me.
Fanculo.
Non vi sopporto.

lunedì 30 maggio 2011

Milano non ha (più) paura

E niente, al netto delle esultanze - anche comprensibili - tutte palloncini e cotillons, ci pare che queste elezioni abbiano evidenziato soprattutto due cose.

1) Un tempo - e pare un secolo fa - era proprio Berlusconi che si poneva, e per la verità veniva da molti percepito, come il volto sorridente e ottimista della “nuova politica” (che nuova lo fosse nient’affatto poi lo si è visto), così contrapponendosi ai polverosi e risentiti discorsi dei politici di professione. E insomma, questa sensazione oggi s’è ribaltata, con la muta rabbiosa degli esponenti di centrodestra a gridare scomposta e dispensar terrori e presentarsi con un’immagine torva e inquietante, sepolta - soprattutto a Milano - da una secchiata d’ironia.
Ecco, l'ironia.
Ed è svolta importante, anche quest'ultima - l'ironia come "arma elettorale" -, dopo che per anni la cifra del centrosinistra era stata unicamente quella del “dàgli al Cavaliere”.
L'ironia libera tutti.

2) Ma, soprattutto, da questa tornata vien fuori che la gente - la gente di centrodestra, soprattutto, ché dall'altra parte la percezione era già diversa - non ha più paura.
Imprevedibile, ma è così: non ha più paura.
Dei clandestini, degli islamici, dei comunisti.
Cioè, non basta più.
Nel senso, magari se ne preoccupano, ma non si teme più l'invasione dei barbari, s'è capito che è una cazzata inventata ad arte. Questa perlomeno è la netta impressione. Agli inizi degli anni Novanta, quando esplose la Lega, l’Italia conosceva la prima vera ondata migratoria, soprattutto dai Paesi dell’Est e dai Balcani - gli albanesi, ricordate? Ai tempi la sinistra sottovalutò il normale timore che nasce nella maggioranza della gente di fronte a fenomeni di questo genere, così lasciando campo libero ai richiami razzistoidi del Carroccio - occhio che questi sono delinquenti, ci stuprano le figlie, chiudetevi in casa, e poi ci rubano il lavoro e via dicendo. Impostazione poi rivitalizzata dopo l’11 settembre, solo con una più accentuata caratteristica anti-islamica.
Ecco, la politica della paura è stata cavalcata a ogni appuntamento elettorale, in tutti questi anni. Ma, nel frattempo, la gente ha avuto la possibilità di metabolizzare - in questo senso sì, Milano è l’avanguardia. Confrontandosi tutti i giorni con “lo straniero”. Discutendo nei consigli di classe. Vedendo lavorare i manovali immigrati. Mangiando le pizze cucinate dagli egiziani. Arrivando a capire che, cristosanto, c’è certo differenza fra criminali e brave persone, ma non in base al luogo di nascita.

Arrivando a capire che non c’è nulla di cui aver paura.

E se davvero così fosse, vorrebbe dire che l’aria è cambiata sul serio.

lunedì 28 febbraio 2011

Vuoi morire in pace? Paga

C’è la faccenda della legge sul fine vita minacciata da maggioranza e governo che questa sì, che bisognerebbe contrastare con manifestazioni e petizioni e mobilitazioni permanenti e insomma, tutto il repertorio. Con il premier bunga bunga che vuol recuperare terreno in Vaticano e adesso è tronato al «viva la scuola privata (cattolica)» e poi addirittura «no al relativismo etico» (cioè, lui lo dice…) – d’altronde, per ricordare un’agghiacciante sciocchezza, quando vuol fare l’ateo devoto ecco che è in grado di squadernarti una scempiaggine tipo «Eluana può avere figli».

E dunque, per tornare alla legge sul fine vita: questi possono anche truccarla alla bell’e meglio, ma la realtà è che – in linea con la peggior tradizione dell’estremismo cattolico - vogliono semplicemente scipparci l’autodeterminazione sulla nostra stessa esistenza. Imponendo che le ultime volontà siano – come dire? – indirizzate non dal soggetto in questione, e nemmeno da un suo parente o da un suo amico – che si comporterebbero comunque sulla  base dell’esplicita volontà del malato, naturalmente. Ma da un medico (è una semplificazione, questa, ma neanche poi tanto). Uno con cui, magari, si hanno rapporti poco più che formali – e hai voglia anche a spingere sul luogo comune che «il medico di famiglia è persona intima della famiglia stessa», che forse accadeva una cinquantina d’anni fa, e comunque anche se fosse c’entra nulla

Una legge, questa, che prima o poi porterebbe tra l’altro a un prevedibile e paradossale risultato: coloro che non intendono in nessun caso sospendere le cure potranno giustamente far valere le proprie convinzioni, mentre chi sceglie d’interrompere una terapia considerata accanimento terapeutico invece no, potrà farlo più o meno clandestinamente e soltanto se il suo dottore è d’accordo. Ragion per cui, si assisterà a una ricerca del medico compiacente, fin quando lo si trova. E, visti i tempi, questa disponibilità potrà eventualmente essere compensata con moneta sonante. Una cosa tipo: «Vuoi morire in pace? Paga». Eppure, per le anime belle, sarà sempre meglio che promulgare fuor d’ipocrisia una legge degna di questo nome, che permetta alle persone di decidere del proprio destino senza condizionamenti pseudo confessionali.

E però c’è anche un’altra cosa che fa pensare. Cioè, la sinistra sbraita e si scandalizza e manifesta per questioni che, come s’è visto, spostano nulla o quasi. Non che non si debba fare, ma è sempre la solita storia:  ce la si canta e ce la si balla riraccontandosi cose che già ci siamo detti migliaia di volte - «Berlusconi a casa», «Berlusconi indegno», «Berlusconi in galera» - e alla fine diventa tutta una sorta di masturbazione di gruppo (e proprio qui stava il senso di quest'altro mio post). Mentre si evita di alzare la voce su questioni che, invece, potrebbero davvero trovare sponde anche fra chi non è pregiudizialmente antiberlusconiano, e così facendo si potrebbe finalmente erodere consenso al Cavaliere. In questo senso, i cosiddetti “temi etici” possono diventare una testa d’ariete: tutti i sondaggi hanno dimostrato come anche molti elettori di centrodestra – per esempio proprio a  proposito del testamento biologico - non siano d’accordo con la linea dell’attuale maggioranza schiacciata sulle posizioni del Vaticano. E, per dire, la legge in questione è stata recentemente criticata certo non da posizioni di sinistra da Galli della Loggia, e non è l'unico. Non che sia determinante, ma qualche cosa vuol dire.

E invece il centrosinistra non lo fa, non si fa sentire come dovrebbe, proprio perché anche al suo interno resistono i predicatori baciapile, vassalli della Santa Sede.  Non si prende una posizione davvero forte – o la si sostiene sottovoce – perché altrimenti «i cattolici si offendono» (mentre invece, al di là degli scaldapoltrone che dei “cattolici” si sono autoproclamati paladini – leggi Casini – si sa che anche i credenti, sulla questione, non sono affatto così graniticamente d’accordo con papi e vescovi, anzi).

E’ da anni che l’attuale opposizione, Partito Democratico in primis, cerca invano di acquisire e mostrare una propria specifica identità. Che dovrebbe innanzitutto rispecchiare il tipo di società che si vorrebbe propugnare. Ecco, un primo importante passo - davvero progressista, tra l’altro - potrebbe per l’appunto essere questo: una società in cui, finalmente, la si smetta di far coincidere una non meglio identificata etica pubblica - formulaccia, questa, che viene tirata fuori solo quando fa comodo - con le fisime vaticane, certo rispettabili ma che non possono più essere imposte per legge. E, più in generale, in cui la legge non si basi su convinzioni più o meno religiose, ma che garantisca a tutti il diritto di decidere per sé stessi.

E’ chiedere troppo?

E per quanto riguarda la paranoia anti-scientifica - e del tutto al di fuori della legge - del sempre più oscuro Comitato Nazionale di Bioetica, che vorrebbe essere un organo di consulenza governativo, da leggere questo post di Front Page sulla possibilità di "obiezione di coscienza farmacistica" nella vendita della pillola del giorno dopo e relative sciocchezze annesse.

giovedì 24 febbraio 2011

Compagni da festival

Cioè, leggendo Michele Serra di oggi (peraltro in linea con la Spinelli dell'altro giorno, sempre su Repubblica), va a finire che la canzone con cui Vecchioni ha vinto il festival di Sanremo diventa «un manifesto della speranza» (!), guardata invece con colpevole sufficienza da certo cinismo di sinistra (oltreché dal «dandismo» di destra). E lui, Vecchioni, a Sanremo ci è andato armato di «una buona dose di anticonformismo» (!!!). Il ragionamento è - come dire - circolare: tanto per restare negli ismi, siccome Sanremo è l’apoteosi del canzonettismo all’italiana (e mica solo in senso strettamente musicale), e siccome lo sanno tutti, allora chi vi partecipa “da intelligente” lo fa proprio per sfatare i luoghi comuni. Il solito discorso: «Eh già, lui ci è andato e però restando sé stesso». Ma è semplicemente perché il “sé stesso” in questione s’è adattato a Sanremo, mica il contrario. In questo senso, allora ha ragione Luca Sofri.

Perché poche balle: Vecchioni ha partecipato al festival esattamente per lo stesso motivo di Al Bano e Anna Oxa e la Zanicchi ai suoi tempi. Legittimo, intendiamoci. Ma la retorica del compagno-oltre-le-linee-nemiche suona del tutto fuori luogo. Alla fine ha vinto Sanremo, questa è la verità. Ha talmente vinto che anche chi un tempo lo disprezzava, ora se la/ce la racconta.

E poi vi prego, Vecchioni speranza culturale della sinistra no.
Che non so se qualcuno l’ha visto l’altra notte in tivù.

«Perché dentro di sé bisogna unire il grande e il bambino».
«E c’è amore e amore».
«E gli adolescenti hanno dei momenti di raptus che non sanno controllare».
«Perché c’è una cosa che mi ha sempre salvato nelle avversità, è la comprensione del bello».
«E poi l’amore per la cultura».
«E anche per le donne, che sono molto meglio degli uomini».
«Perché la morte è l’altra metà della vita».
«E quello che non mi piace della morte non è tanto morire ma perdere quello che c’è nella vita».
«Perché sì, io mi sento un intellettuale».

E Marzullo:
«Ma come parla bene, professor Vecchioni».

giovedì 13 gennaio 2011

Poi dice che gli operai si buttano a destra
(ovvero: la sinistra, il lavoro e Giorgio Gaber)

In origine questo post sulla vicenda Fiat era più lungo e articolato.
Si parlava delle ragioni della Fiom - anche al di là di come la si pensi nel merito della questione - nel definire una farsa questo referendum fra i lavoratori sull'accordo che cambia le loro condizioni di lavoro. Un referendum che se vince il "sì" va tutto bene e l'accordo è buono e santo, ma se vince il "no" allora non è che se ne ridiscute, no, la fabbrica chiude - e che gioco è? allora non fatelo, il referendum, ché mica siete obbligati.

E poi però si ragionava sulla vetusta impostazione dei sindacati, in senso anche più generale, che negli ultimi anni non han saputo adeguare proposte e soluzioni e tutele a cambiamenti planetari - per esempio concentrandosi esclusivamente su chi il posto giá ce l'ha e trascurando colpevolmente precariato e mobilità, e mica per niente gran parte degli iscritti sono pensionati. E in questa vicenda è emerso palese come i loro "strumenti di pressione" siano ormai del tutto spuntati.

E infine ci si allibiva per questa santificazione del manager Marchionne, che certo sarà anche abile e moderno, e peró insomma, la sua azienda è in crisi e lui la risolve chiedendo, anzi intimando, ai lavoratori di adeguarsi a nuovi ritmi - in parte anche comprensibilmente - senza però presentare un progetto industriale degno di questo nome, chessò, nuovi e competitivi modelli d'auto, obiettivi proiettati nel tempo. Niente, tutto al buio.

Poi però è tornato fuori Giorgio Gaber, nel senso che "a parteggiare per la destra non ce la faccio proprio fisicamente, ma niente e nessuno mi fa incazzare come la sinistra". No, perché la verità è che, ancora una volta, da questa vicenda emerge in tutta la sua inarrivabile inconsistenza proprio la sinistra nostrana.
Per dire, riguardo al referendum: uno dice che voterebbe sì, l'altro no, altri addirittura sì e anche no. Poi ci mancava Vendola e la sua passerella a Mirafiori. Un pasticcio. Cioè, questo del lavoro dovrebbe essere un tema fondamentale - anzi, Il Tema. E invece i capoccioni progressisti non riescono nemmeno su questo a elaborare uno straccio di linea comune, una prospettiva politica sulla questione. Niente di niente, ognuno per conto suo.
E non si dica, please, che questa è la consueta critica sterile o tafazzismo distruttivo. Invece no, al contrario: semplicemente, qui - ripetiamo - si chiede che il maggior partito di centrosinistra elabori finalmente un'interpretazione politica complessiva e comune e magari anche proiettata nel presente e nel futuro - e non nel passato - su un argomento così importante come il lavoro. Altrimenti a che cazzo serve un partito?
E di fronte all'ultima spacconata berlusconiana, che si dice voglia cambiare nome al partito chiamandolo "Italia" - a parte l'irresistibile proposta di chi gli opporrebbe un magnifico "Resto del Mondo" - ecco, mettendosi paradossalmente sullo stesso piano, una parola alternativa potrebbe davvero essere "Lavoro".
E invece niente, cazzo. Niente.

Poi uno dice che gli operai votano Berlusca o Lega. E c'è anche l'insopportabile presunzione da salotto nel sostenere che lo fanno perché si sono rincoglioniti davanti alla tivù. No, è che hanno visto e ascoltato. E poi hanno cambiato canale.

UPDATE: E dopo la "riunione di direzione del partito" - che non si sa bene che cosa diriga - ecco che va in scena l'ennesimo scazzo fra Bersani e club Veltroni, con questi che prima scazzano e poi fanno quelli che si calmano. Ancora una figura piuttosto misera. Il sospetto è che lo facciano apposta.

venerdì 10 dicembre 2010

Dipende

Millenovecentonovantanove: governo D'Alema










Duemiladieci: governo Berlusconi


















Da destra a sinistra, da sinistra a destra, passando per il centro.
Sempre così: nel Parlamento all'italiana il voltagabbana è cattivo e traditore soltanto quando passa al nemico.
Se invece si arruola nella nostra squadretta, allora diventa un ravveduto.

Dice che la politica è sempre stata così. Sarà. Ma resta una recita avvilente.

(E comunque, D'Alema e Berlusconi si son trovati mica così raramente sulla stessa linea).

mercoledì 24 novembre 2010

E parla bene. Ovvero: Saviano e la sinistra in tivù

Discuti, t’appassioni, finché ti scaldi e addirittura alzi la voce che gli altri ti guardano strano, «ma possibile che devi sempre infervorarti in questo modo? guarda che sembri un matto». Poi torni a casa e vedi i politici in televisione o ne leggi le dichiarazioni e le interviste, sarebbero quelli che in linea di principio t’aspetti possano dire qualcosa per cui valga la pena per l’appunto d’appassionarsi e scaldarsi e alzare la voce e litigare come hai fatto fino a mezz’ora prima, e invece ti cadono i coglioni. Ti senti un babbione.  Nel senso che li percepisci così lontani, questi che fra poco ti chiederanno il voto. Lo/la/li vedi parlare ma non  arriva nulla o quasi. Per dire, ti chiedi perché una come la Serracchiani - che era emersa proprio perché sembrava parlasse diversamente, si ponesse diversamente, argomentasse diversamente - ora invece pare irrigidita, irreggimentata, noiosa e ministeriale. E dice anche cose condivisibili, intendiamoci. Ma non scalda, non coinvolge, e anche non convince più di quello che le si oppone , lei che per un attimo ci era riuscita. E l’interesse, la passione evaporano. Una scusa per nascondere la tua incorreggibile superficialità? Può essere. E poi cos’è questa necessità di essere “scaldato”, non ti bastano i concetti? E non ti rendi conto che insomma, una cosa è parlare al bar e un’altra è invece argomentare con serietà? «Eddài, vorresti che facessero come Berlusconi?». No, certo no. Ma insomma.

E però poi uno vede che c’è anche un altro modo.  Saviano che fa  nove milioni e rotti di telespettatori. E certo, le perplessità su alcune sue generalizzazioni restano intatte, e la trasmissione t’annoia pure (ed eccone qualche ragione). Ed è anche vero che un conto è avere a disposizione tutti quei minuti per parlare, un altro confrontarsi con i tempi contingentati e Gasparri che ti dà sulla voce e tu vorresti invece dargli sulla testa.  Ma non è questo il discorso che qui si vuol fare, non è un pro e contro nel merito, stavolta. Cioè, al di là di tutto, è chiaro che si tratta di un’operazione tele-politica, quella di “Vieni via con me”.  Nel senso: Saviano in questo momento viene percepito – e dunque è - un esponente politicamente schierato, un politico del centrosinistra. E anche come tale può essere valutato.  Ed ecco, c’è questa cosa: riesce ad apparire diverso, Saviano. Riesce a tirare in mezzo tanta gente – magari non me, ma chissenefrega.  Risulta più credibile per molti, anche se tale non sempre è. L’effetto novità? Può darsi. Ma sarebbe il caso di valutare se non sia  anche e soprattutto proprio una questione di linguaggio, comunicazione, atteggiamento. Nel senso anche superficiale del termine: parole più comprensibili, esempi più semplici, tono di voce più coinvolgente. Persino il viso, le movenze. E non è nemmeno che Saviano sia così abile, in video. Anzi, risulta persin impacciato – e in effetti anche questo finisce per essere un pregio. Naturale che queste considerazioni andrebbero poi svolte in direzioni meno generali, ma insomma, questo è il discorso. In ogni caso, continuando con il paragone con la Serracchiani – lei perché è fra quelle  indiscutibilmente in gamba – ecco, però sembra già una, come dire?, una fagocitata nella recita. Sembra Rosi Bindi, e sia detto con tutto il rispetto.

Dice: sì, ma i ragionamenti di Saviano sono grossolani. Perché, l’altra sera Bersani ne è uscito meglio? Non sembra. E Renzi ne esce meglio? Bah, facessero un referendum, ma l’impressione è che la differenza venga colta da chi si è già fatto un’idea, non da quelli che devono essere tirati in mezzo. E d’altro canto, anche Vendola risulta sempre più retorico. Saviano nella retorica ci ha intinto tutt’e due le mani, in queste serate, ma resta il fatto che viene percepito diversamente.

Intendiamoci, nessuno grida al Saviano presidente, ovvio non sia questo il punto. Ed è anche vero che il successo della trasmissione non significa necessariamente che qualcosa nell’aria stia cambiando. Ma qualche ragionamento in più sul modo di porsi e di parlare alle persone, ecco, non sarebbe tempo perso. Lo si è già fatto, lo si fa continuamente, ma evidentemente non si trova la via. Perché di quel che parlano a sinistra, si arriva a capire poco e male. E questo è un fatto. Poi si può anche sostenere che è colpa di chi ascolta malamente, ma sai che consolazione.