lunedì 30 maggio 2011

Milano non ha (più) paura

E niente, al netto delle esultanze - anche comprensibili - tutte palloncini e cotillons, ci pare che queste elezioni abbiano evidenziato soprattutto due cose.

1) Un tempo - e pare un secolo fa - era proprio Berlusconi che si poneva, e per la verità veniva da molti percepito, come il volto sorridente e ottimista della “nuova politica” (che nuova lo fosse nient’affatto poi lo si è visto), così contrapponendosi ai polverosi e risentiti discorsi dei politici di professione. E insomma, questa sensazione oggi s’è ribaltata, con la muta rabbiosa degli esponenti di centrodestra a gridare scomposta e dispensar terrori e presentarsi con un’immagine torva e inquietante, sepolta - soprattutto a Milano - da una secchiata d’ironia.
Ecco, l'ironia.
Ed è svolta importante, anche quest'ultima - l'ironia come "arma elettorale" -, dopo che per anni la cifra del centrosinistra era stata unicamente quella del “dàgli al Cavaliere”.
L'ironia libera tutti.

2) Ma, soprattutto, da questa tornata vien fuori che la gente - la gente di centrodestra, soprattutto, ché dall'altra parte la percezione era già diversa - non ha più paura.
Imprevedibile, ma è così: non ha più paura.
Dei clandestini, degli islamici, dei comunisti.
Cioè, non basta più.
Nel senso, magari se ne preoccupano, ma non si teme più l'invasione dei barbari, s'è capito che è una cazzata inventata ad arte. Questa perlomeno è la netta impressione. Agli inizi degli anni Novanta, quando esplose la Lega, l’Italia conosceva la prima vera ondata migratoria, soprattutto dai Paesi dell’Est e dai Balcani - gli albanesi, ricordate? Ai tempi la sinistra sottovalutò il normale timore che nasce nella maggioranza della gente di fronte a fenomeni di questo genere, così lasciando campo libero ai richiami razzistoidi del Carroccio - occhio che questi sono delinquenti, ci stuprano le figlie, chiudetevi in casa, e poi ci rubano il lavoro e via dicendo. Impostazione poi rivitalizzata dopo l’11 settembre, solo con una più accentuata caratteristica anti-islamica.
Ecco, la politica della paura è stata cavalcata a ogni appuntamento elettorale, in tutti questi anni. Ma, nel frattempo, la gente ha avuto la possibilità di metabolizzare - in questo senso sì, Milano è l’avanguardia. Confrontandosi tutti i giorni con “lo straniero”. Discutendo nei consigli di classe. Vedendo lavorare i manovali immigrati. Mangiando le pizze cucinate dagli egiziani. Arrivando a capire che, cristosanto, c’è certo differenza fra criminali e brave persone, ma non in base al luogo di nascita.

Arrivando a capire che non c’è nulla di cui aver paura.

E se davvero così fosse, vorrebbe dire che l’aria è cambiata sul serio.

Nemesi rumena

Berlusconi attende i risultati dei ballottaggi in Romania.
In Romania.
Siamo alla nemesi.

giovedì 26 maggio 2011

Il segreto dei fenicotteri rosa

E insomma, ieri litigio domestico per i consueti motivi - sempre gli stessi, cazzo, sempre gli stessi - e oggi mi torna sotto quest’altra notizia, che può sembrare una spigolatura da Settimana Enigmistica ma anche no. E niente, mi viene da affiancare le due cose, ché invece a prima vista c’entrano nulla.

Partiamo dunque dalla seconda, che l'ha data la Bbc e anche il sito pseudo-scientifico livescienze.com. Dunque, ci sono questi due scienziati americani, lavorano all’università di Saint Joseph a Philadelphia, sono molto interessati allevoluzione dei comportamenti. E c’hanno ’sta fissa dei fenicotteri  rosa. Ne studiano il modo di fare e l’influenza dell'ambiente sugli atteggiamenti e cose così, roba da etologi. Ma c’è una domanda in particolare, che si son posti: perché stanno sempre su una zampa sola? Qual è il motivo profondo? E hanno osservato e confrontato. Appurando inizialmente che non hanno una gamba preferita, su cui soffermarsi. Perfetto.

Lo studio si è fatto sempre più approfondito. Basato più che altro sull'osservazione degli esemplari ospiti dello zoo di Philadelphia. Fino alle geniali conclusioni dei due ricercatori. Punto primo: i fenicotteri  preferiscono sostenersi su una zampa sola più quando sono nell’acqua rispetto a quando, invece, se ne stando tranquilli sulla terraferma. «E questo - dice uno dei due, ed è il punto secondo - supporta la nostra ipotesi. E cioè che questo atteggiamento sia legato alla termoregolazione del corpo». La “termoregolazione del corpo”, dunque: tanto per semplificare, significa che i fenicotteri  rosa se ne stanno su una zampa, quando sono in acqua, per avere meno freddo possibile. Cioè, alla lunga restare a mollo con tutt'e due le zampe diventa una tortura. E allora, a turno, ne alzano una, e quando l’altra è rattrappita, cambiano zampa. Pensa te.

Questa sconvolgente notizia si presta a due osservazioni. Per prima cosa, sempre più spesso ci si chiede se certi sedicenti studi scientifici siano davvero pagati dai relativi istituti di ricerca, o sono soltanto una presa per il culo, indirizzata soprattutto ai giornalisti pronti a bere le bufale più assurde se solo risultano “curiose e divertenti”.
Oppure si prende lo studio un po’ più sul serio. E allora, non si può fare a meno di notare che sempre di più - e mica solo gli scienziati - ci si aggroviglia a interpretare segnali, immedesimarsi in situazioni, immaginare misteri. Per cercare chissà dove spiegazioni che, il più delle volte, sono evidentemente davanti a noi. E qui perdonatemi, ma ci sta persino la citazione, essendo Pasternak mia passione antica:

Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi
e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno,
non si può non incorrere alla fine, come in un’eresia,
in un’incredibile semplicità.

Cioè, i fenicotteri rosa, quando sono in acqua, stanno su una zampa perché hanno freddo all'altra. Chiaro, no?

E il litigio domestico? E i soliti e infinitamente ripetuti motivi di scontro? Qui in realtà basta proseguire con la poesia.

Ma noi non saremo risparmiati,
se non sapremo tenerla segreta.
Più d’ogni cosa è necessaria agli uomini,
ma essi intendono meglio tutto ciò che è complesso...

Meglio fermarsi qua, dài, che domani è già prefestivo.

sabato 21 maggio 2011

Da papà a papà

E alla fine resta solo quella frase sentita migliaia e milioni di volte, la frase con cui iniziano gli articoli del giorno dopo, «non ce l’ha fatta». Uno schifo di frase maledetta. «Non ce l’ha fatta». Ci son volute ore per prendere la decisione, il sangue che non affluisce più al cervello, le pratiche per l’accertamento di morte. Non aveva neanche due anni, la piccina.  E nessuno può capire, nessuno può immaginare. «Ma com’è stato possibile? Ma come ho fatto?». Ed è e sarà la domanda della vita, hai passato gli ultimi giorni e le ultime notti cercando di capire il quando e il come e il perché, ripercorrendo i minuti e i secondi - la memoria che s’inceppa, prigioniera di gesti quotidiani che da chissà quanto tempo si ripetono meccanicamente, e però quella mattina prima di andare a far lezione c’era da accompagnare la piccola Elena al nido, e invece l’hai lasciata lì dietro, sul sedile posteriore, legata al seggiolino - «dormiva? sì che dormiva...» -, e immerso nei pensieri sei sceso dalla macchina e hai chiuso la portiera dietro di te e la tua bimba è rimasta cinque ore nel parcheggio sotto il sole. «Dimenticata. Me la sono dimenticata». E poi lo sguardo di tua moglie, lo sguardo che ti si rivolgeva quasi implorante, «com’è stato possibile?». Ma ecco qualche speranza, i medici, «non è in pericolo di vita», il respiro che resiste, l’incapacità di credere che possa davvero accadere - e ti torna in mente quando correvi verso l’ospedale con tuo padre lì davanti in ambulanza che s’era sentito male improvvisamente, e l’eventualità che potesse morire era come non fosse contemplata. E invece niente, gli esami rivelano un’edema cerebrale, le complicazioni renali, «l’elettroencefalogramma non è piatto ma non è normale». Fino al «non ce l’ha fatta». Abbassi la testa, e chiudi gli occhi senza più lacrime. Vuoti, come vuoto è il cuore.

E davvero non si può capire, davvero non si può immaginare. Per dire, chiunque abbia la fortuna di guardare il proprio figlio che dorme, rendendosi conto di come sia vita per la quale sacrificare la propria, e quasi spaventandosi per l’amore che ti ci lega: e il timore che gli possa accadere qualcosa di male per poco non ti provoca dolore fisico. «Dimenticata. Me la sono dimenticata». Che ti si ghiaccia l’anima soltanto a pensarci. Ne parlano come di un papà eccezionale, il veterinario-chirurgo di Teramo, e di certo lo è. Chi l’ha potuta osservare, in questi giorni, descrive una coppia ancora unita, sia pur comprensibilmente molto provata. La signora, anch’essa medico, è incinta di otto mesi: una nascita che potrebbe significare salvezza. E lei stessa dichiara che «quel che è successo a Lucio può capitare a ognuno di noi, perché non ci si ferma mai e lui non si fermava perché doveva preoccuparsi di me, della mia gravidanza, della piccola Elena, della casa appena costruita...». E ancora: «Voglio dare al mondo intero l'amore del mio compagno verso la figlia, padre esemplare! Non è colpevole di niente! Elena adorava il suo papà e la prima parola di Elena è stata bà bà...». Parole d’amore che commuovono, parole cui aggrapparsi per non affogare. Ma che mai riusciranno a cancellare il dolore. Adesso ci sarà l’inchiesta, forse si passerà da abbandono di minore a omicidio colposo. Ma il linguaggio giuridico è a volte così lontano dalla vita, e dopo i primi accertamenti - fugaci poiché senza necessità di particolari approfondimenti, tant’è lampante la dinamica - è venuta fuori una parola che, per un genitore, è la condanna peggiore: «Distrazione. Di quelle gravi, ma è stata una distrazione». Terribilmente banale, ma è così.

E certo è evento eccezionale, ma di episodi del genere se ne ricordano diversi. A memoria ce ne vengono in mente un paio, qui in Italia: a Catania, nel ’98, e nel Lecchese tre anni fa. E con modalità del tutto identiche - il figliolo in auto, la corsa verso il lavoro scordandosi di passare per l’asilo, la scoperta e il tardivo intervento medico. E sempre famiglie solide, sane, nient’affatto assimilabili al cliché dei genitori snaturati. E magari oggi gli si chiede di raccontarne, giusto per capire come si possa riuscire  a sopravvivere a un dolore del genere. E però loro no, non ne parlano. Perché ci sono cose che vanno lasciate lì, da parte, senza sperare di dimenticarle, forse nemmeno volendolo, ma lasciando che la polvere del tempo perlomeno ne copra la vista alla memoria. Almeno a quella quotidiana.

E poi subito ci sarà chi provvederà ad aprire il librone mentale dei luoghi comuni. Ed ecco la  troppa importanza che troppe volte diamo a troppe cose in realtà risibili. E i ritmi insostenibili di una società che tritura esistenze come fossero carburante. E il «bisogna tornare ai valori veri». E saranno anche considerazioni condivisibili, ma tutto quello che avremmo voglia di fare in questo momento è - da padre a padre - abbracciare quell’uomo. Quel papà.

Per quel che può servire.

Cioè niente.

giovedì 19 maggio 2011

Commento elettorale a freddo (bi e tri e grill-partisan)

Gli stronzi vengono a galla.

                              - Zanna -

P.S. - Spettiniamo la Moratti.

Amicizie

Cioè, adesso la Moratti cerca di virare la sua infamata sostenendo che vuole evidenziare come Pisapia, in passato, coltivasse amicizie nell’ambiente terroristico, amicizie che - a dire della parrucchiera di Palazzo Marino - lo renderebbero incompatibile con la carica di sindaco.
Amicizie.
E lei è del partito di Berlusconi.
Le amicizie.
Di Pisapia.
E quelle di Berlusconi.
Tipo Previti, condannato in via definitiva per corruzione in atti giudiziari, e ce l’aveva nominato addirittura ministro.
Oppure Dell’Utri, condannato in due gradi di giudizio (manca la Cassazione) per concorso esterno in associazione mafiosa, e due anni patteggiati per frode fiscale.
O, ai tempi, Craxi.
E anche Mangano lo stalliere, che addirittura il Berlusca l’aveva assunto ad Arcore negli anni Settanta, e poi Borsellino lo definì «una delle teste di ponte della mafia al nord»,  e fu condannato nel 2000 (poco prima di morire) all’ergastolo per duplice omicidio.
Continuiamo?
Le amicizie.
Sì, di Pisapia.
E il garantismo?
Magari un altro giorno.
Dopo le elezioni.
E la vergogna?
Quella mai.

INFO - Per errore questo post, che era di giovedì 12 maggio, ha cambiato di posizione. E non chiedetemi perché....

lunedì 2 maggio 2011

L’ultimo duello fra le due icone più pop del millennio


Obama e Osama, e già sull’assonanza dei nomi i maniaci di segni premonitori ne avrebbero parecchie da dire. E comunque, trattasi senza dubbio delle due personalità-simbolo di quest’inizio di millennio.

Il terrorista imprendibile, da una parte quasi venerato – magari senza darlo sempre a vedere –  da milioni di fondamentalisti musulmani i più incattiviti, emblema della possibile rivalsa nel nome di Allah, e d’altro canto odiato come personificazione del Male Assoluto  dall’occidente panzuto e impaurito - e però, sotto sotto, persin ammirato nemmeno tanto velatamente dai nostalgici del collasso del sistema, unico guerrigliero in grado di far tremare il sempre odiato colosso yankee

E poi il presidente nero, simbolo (sbiadito?) della lotta contro tutti i razzismi, illusione (delusa?) di un nuovo ordine internazionale senza prevaricazioni troppo esplicite, promessa (disattesa?) di una società americana - e quindi occidentale - meno egoista.  E però sempre un gran bel testimonial, yes we can.

E per l’uno e per l’altro, ognuno nel suo campo d’azione - nel suo territorio -, agiografie e leggende e speranze e addirittura preghiere, giù giù fino alle spille e ai fumetti e alle magliette.

Le due icone pop, le più popolari del pianeta, si potrebbe dire.
Uno di fronte all’altro.
Uno contro l’altro.
Ma quando c'è di mezzo il marketing, non c'è con
fronto.
E quando un uomo con la pistola incontra uno col fucile, quello con la pistola è un uomo morto.
E il finale del western è sempre lo stesso, altrimenti che western è?
E insomma, ha vinto l’americano.
E per fortuna: se vogliamo mantenerla sull'emblematico, vista - come dire? - l'organizzazione di società che avrebbe impostato quel folle dello sconfitto se per paradosso avesse invece prevalso, ecco, va bene così, no? E certo che è meglio così, mica c'è dubbio.

E però, cazzo, c'è questa cosa: ma perché alla fine ci resta sempre in bocca questo sapore amarognolo?
E' forse la controindicazione di concetti ambivalenti quali nemico e vendetta?
Vabbé, passami il sale. E cambia canale, che di là c'è la partita.

E adesso via, complottisti di tutto il mondo, unitevi, che è il vosto momento.

P.S. - Da ricordare l'epocale sciocchezza dello specialista Gasparri, quella che sparò il 5 novembre del 2008: «Con Obama alla Casa Bianca forse Al Qaeda è più contenta», così disse. E bravo il Gasparri, lui sì che c'ha la vista lunga.