giovedì 30 dicembre 2010

Castelli di carta

Ecco, c'è Feltri che ne dice a Santoro, e Santoro commenta con Travaglio, e Travaglio attacca Belpietro, e Belpietro se la prende con la De Gregorio, e poi la De Gregorio va contro Sallusti, e Sallusti torna ad attaccare Santoro, e il cerchio si chiude e la danza ricomincia (mentre Scalfari continua imperturbabile a parlare di Scalfari). E Repubblica contro "il modo di fare giornalismo" di Libero, e Libero contro "il modo di fare giornalismo" di Annozero, e Annozero contro Il Giornale, e Il Giornale contro l'Unità... Eccheppalle! Gli under trenta possono anche non crederci, ma in un tempo nemmeno tanto lontano i giornali raccontavano e commentavano quel che accadeva in politica. Oggi, sempre più spesso, è la politica a commentare quel che si scrive sui giornali. Fino al paradossale corto circuito, con giornali e giornalisti che riferiscono e commentano ciò che scrivono gli altri giornali e gli altri giornalisti, diventando loro stessi il centro del "dibattito politico", o meglio di quel che i giornali stessi definiscono tale, in una sorta di masturbazione pseudo-informativa. E' la sublimazione/degenerazione di una professione che in Italia - ma solo in Italia? - si è fatta sempre più autoreferenziale, e si parla addosso fino a sbrodolarsi. Anche al di fuori del cartaceo: anzi, in televisione la tendenza è ancor più evidente. Segno di quanto sia debole e poco autorevole e alla fine persino ininfluente gran parte della nostrana classe politica, nei talk-show ormai relegata a ruoli secondari, di complemento.

Paradossale, poi, è anche il fatto che questa autochiusura del giornalismo arrivi quando proprio i giornali perdono lettori in quantitá ormai esponenziale, e il mezzo - più che altro nella versione cartacea - viene considerato del tutto anacronistico dalle nuove generazioni, ed è opinione comune che abbia - perlomeno nel senso di media "di massa" - gli anni contati, destinato alla nicchia di sparuti appassionati come il disco in vinile e la radio a transistor. Quasi una difesa disperata del nobile lignaggio che fu. La Fort Alamo del giornalismo, ecco a che cosa somiglia. Solo che di quest'ultima "resistenza" importa quasi nulla a nessuno. Perché il mondo va avanti, bene o male, ma certamente guardando da un'altra parte. E tanti saluti alle nove colonne.

lunedì 27 dicembre 2010

Per adesso rimando

E poi certo, con tutti 'sti strumenti ipertecnologici riesci, volendo, a restare apparentemente sempre sul pezzo. Nel senso che, per dire, chi vive e lavora di notizie può senza troppi problemi mantenersi aggiornato a ogni ora del giorno e della notte. Riuscendo così a sedare quella vaga sensazione, quella simile al senso di colpa, del tipo "che cosa ci faccio qui, a fare un cazzo, che invece dovrei essere a lavorare?".
(Ed è, questa dell' ansia da vacanza, una delle più emblematiche perversioni di questa nostra bulimica eppur inappagata e inappagante società, ma questo è un altro discorso).

Tornando a quanto si scriveva all'inizio, e generalizzandolo, ecco, si parla di quando dai un'occhiata al tuo mondo, alla tua vita professionale, a quel che succede mentre tu semplicemente te ne stai in panciolle, e per un momento riesci a vederla da fuori senza esserne direttamente coinvolto, per qualche tempo anche fisicamente distaccato. E insomma, fai persin fatica a venire al punto, e però ti accorgi, anzi lo sai: di quelle cose, in fondo, te ne frega poco. Anzi, proprio non te ne frega un cazzo.

E allora, caro mio, vuol dire che hai un problema

Il passo successivo dovrebbe essere quello di affrontarla, questa cosa, senza accampare scuse del tipo "adesso non si può, non è il momento, hai una famiglia, c'è la crisi, non hai mica più diciott'anni" e cose del genere. 

Ma qui mi fermo. 
Giusto il tempo di trovare un'altra scusa valida.
E poi mi stanno chiamando, che è pronto da mangiare.

giovedì 23 dicembre 2010

L'importanza della dieta

Siamo tutti appesi a un filo, e io sono anche sovrappeso.

                                                                           - Zanna -

mercoledì 22 dicembre 2010

La tassa sul tumore

Perché poi alla fine è così che succede. Che a pagare sono i più deboli, e non la si consideri una frase fatta - macché, in Italia è una regola, e pazienza se suona retorica. Decenni di malamministrazione e clientelismo e inefficienze assortite hanno creato e nutrito il mostro che adesso tutto divora (il bilancio in primis). È la sanità in Campania, bellezza. È stato calcolato lo scorso anno che, per ogni abitante della regione, vengono spesi mediamente 1.215 euro. E però, in base agli standard nazionali, il sistema campano avrebbe potuto offrire gli stessi servizi utilizzando 388 euro in meno. Vale a dire, come ha sintetizzato Sergio Rizzo sul Corriere, che per l’appunto la Campania spreca un euro su tre. Uno scandalo a cielo aperto.

E così questi soldi - si perdoni la generalizzazione,  ma neanche si scrive proprio a caso  - questi soldi che servono evidentemente per mantenere una struttura pletorica, le assunzioni inutili, gli amici degli amici degli amici, gli istituti e i laboratori gestiti malamente e via dicendo, questo buco che pare incolmabile, ecco, lo si comincia a coprire  chiedendo denaro anche agli ammalati cronici e gravi, persino ai malati di tumore. Che, unico caso in Italia, dovranno sborsare cinque euro di ticket a ricetta, uno e mezzo per ogni confezione di farmaco – indigenti e trapiantati e dializzati esclusi.

È la Campania che si morde la coda, altroché - e per favore non la si giri tacciando di antimeridionalismo chi, amante del sud e con esso imparentato, si permette di esprimere la propria insofferenza nei confronti di quest’andazzo non più tollerabile. Troppi sorrisi indulgenti hanno accompagnato i favoritismi smaccati e le inattività addirittura esibite, quasi fossero elemento di folclore. Troppi ma che vuoi che sia uno in più o in meno? Ecco, se davvero sarà confermato il ticket per i malati gravi, i campani (ma mica soltanto loro, ché questo – come si dice – è un caso emblematico di una situazione certo più generale) i campani avranno un motivo in più per vergognarsi. E anche arrabbiarsi. E cominciare finalmente a cambiare le cose.

lunedì 20 dicembre 2010

Stile Gasparri

E comunque, il problema non sono tanto le consuete sparate fascistoidi di Gasparri sugli arresti preventivi e gli assassini in corteo – ché proprio non sorprendono -, quanto capire se raccolgano il favore degli elettori di Pdl e Lega, vale a dire di quella che allo stato attuale rappresenta la maggioranza dei votanti. Nel qual caso sarebbe sì grave davvero, conferma (ennesima) che i basilari concetti alla base di una concezione liberale dello Stato sono ormai del tutto dimenticati, in nome di un dibattito politico che riesce a raggiungere livelli di rozzezza degni del peggior barsport.

E tra l’altro, per quanto riguarda gli arresti preventivi, il riferimento di Gasparri all'inchiesta del '79 su Autonomia Operaia è del tutto fuori luogo, e ne dimostra la malafede o quantomeno l’ignoranza. Nel senso che, allora, i vertici di Aut Op furono arrestati perché ritenuti comunque responsabili di un reato commesso – il pm in sostanza ipotizzava che fossero il livello pensante che manovrava i brigatisti responsabili del sequestro Moro -, ipotesi di reato poi rivelatasi giuridicamente inconsistente. E dunque, nemmeno allora si arrivava a invocare l’arresto ancor prima che l’eventuale delitto fosse commesso, questo sì un mostro giuridico.

Tornando alle eventuali opinioni favorevoli alla sciocchezza-Gasparri, la prima reazione potrebbe essere quella di rinunciarci, di arrendersi di fronte all’evidenza che gran parte degli italiani si dimostra ormai del tutto assuefatta, pronta ad annuire a qualunque bestialità, o comunque a non farci caso. E invece no, è ancor di più necessario parlare, argomentare, far capire come sia una perversione politica lucidamente perseguita, quella di continuare a coltivare la frustrazione effetivamente esistente e anzi montante, alimentando e mantenendo ad arte una costante sensazione d’insicurezza su cui far leva strumentalmente. In sostanza, ci fanno vivere di merda autoeleggendosi a soluzione del presunto problema, che però non viene mai risolto proprio perché, altrimenti, perderebbe di senso la loro stessa ragione sociale.

Anche perché, quando non è più possibile nasconderla, la presa in giro emerge fragorosa. E l’opposizione, per dimostrare di essere uno schieramento politico degno di questo nome (...), dovrebbe evidenziarle con forza, queste contraddizioni. Molto più che accanendosi contro il Berlusconi puttaniere o quant’altro, strategia che - come s’è visto - non solo non paga, ma è addirittura controproducente.
Tipo, tanto per fare un esempio e restando in argomento sicurezza: adesso la Regione Veneto ha necessità di tagliare il bilancio, dunque diminuendo le spese. E che cosa succede? Succede che vengono diminuiti anche i fondi destinati proprio alla sicurezza. Ragion per cui d’improvviso il leghista Gian Paolo Gobbo – sindaco di Treviso ed erede di quello “sceriffo” Gentilini che dava delle scimmie agli immigrati e sbraitava contro i delinquenti che infestavano il nordest e voleva le ronde e tutte le stronzate di rito padano –, e insomma 'sto leghista Gobbo ora dice che «soldi non ce ne sono, in ogni caso la sicurezza non è più un’emergenza». Capito? Han conquistato le poltrone e devono far quadrare i conti e non bastano più i rutti e le bestemmie, e adesso di colpo «la sicurezza non è più un’emergenza». Dopo che per anni ce l'hanno menata - e certo torneranno a farlo quando gli farà gioco - raccontandoci di essere assediati da orde di criminali.
Ma vaccaghér.

giovedì 16 dicembre 2010

Spacciatori di cazzate / 2

Ecco, questo è l’esempio più calzante per illustrare quest’altro post sugli spacciatori di cazzate.

Il caso ormai è noto: la foto qui di fianco, inizialmente spacciata per immagine ripresa durante gli scontri di Roma dell’altro giorno, e che avrebbe dimostrato la presenza di poliziotti-provocatori infiltrati fra i manifestanti - e peraltro ce ne saranno stati di certo - ecco, questa foto è una bufala. Nel senso che si tratta di uno scatto che risale a incidenti avvenuti in Canada nel 2007. Bufala talmente evidente che, questa volta, la segnalazione della sua inattendibilità è cominciata a circolare poche ore dopo l’apparizione in rete. (Peraltro, mica in pochi han continuato a postarla un po’ dappertutto, naturalmente affiancandoci commenti sdegnati).

E però questo strafalcione, unito a quell’altro episodio sospetto poi rivelatosi infondato - il ragazzo incappucciato con la pala in mano, anch’esso indicato come agente infiltrato e poi invece identificato in un quasi 17enne più che esagitato - ha ottenuto fondamentalmente due effetti susseguenti. Prima, per l’appunto, aizzando i soliti che «questa sì che è controinformazione, contro i media di regime e le loro veline» - e però mai che si curino di trovare uno straccio di riscontro alle sconvolgenti rivelazioni «che ci vogliono nascondere» (sono gli spacciatori di cazzate, per l’appunto). E poi, una volta emerse le panzane, fornendo buoni argomenti al Gasparri di turno, che invece sbraita per far coincidere sempre e comunque i lanciatori di molotov con gli studenti in corteo, strumentalizzando la situazione e accusando chi dissente di essere «dalla parte dei violenti».

Ed è proprio questo il paradosso. Che coloro che si ergono a paladini dell’informazione libera e alternativa, in realtà, finiscono troppo spesso per propagare frottole clamorose, loro sì vittime inconsapevoli di un’informazione manipolata, attendibile quanto le chiacchere da bar. Riuscendo così a diffondere la sensazione che siano proprio loro, i taroccatori. E in questo modo squalificando agli occhi degli osservatori neutrali le cause che vorrebbero sostenere.

Bravi, bel risultato.

mercoledì 15 dicembre 2010

Punto e a capo

Qualche inutile considerazione di un dubbioso incazzato.

1) Sul fatto che Fini abbia deluso nei momenti decisivi, come quei discreti giocatori che però non riescono mai a diventar campioni, hanno scritto un po’ tutti. Dopo Almirante, il Fronte, l’Msi, An, sedici anni fianco a fianco con Berlusca, ultimamente c’era chi – anche e soprattutto a sinistra – lo dipingeva come il nuovo fenomeno della politica italiana. Il Maradona. Ma rischia invece di restare un Maiellaro qualunque. Poi possiamo giustamente indignarci per il mercato dei parlamentari, e però ricordando che trattasi di abitudine diffusa da una parte e dell’altra, basta dare un’occhiata qui.




2) In tutta questa vicenda è emersa ancora una volta l’inconsistenza  - più che altro l'irrilevanza - dell'attuale “sinistra”, e del Partito Democratico in particolare. Per mesi la politica, l’opposizione al governaccio, le speranze di un cambio d’orizzonte, tutto è rimasto all’interno dei confini del centrodestra. Mentre dall’altra parte, illudendosi che il regno del Cavaliere fosse davvero alla fine – e comunque, non è ancora detto che non lo sia -, ci si limitava a prefigurare improbabili alleanze con Fini, e più che altro ci si scornava su questioni incomprensibili: ed ecco Bersani che litiga con Renzi, D’Alema (ancora?) che litiga con Veltroni (ancora?) e poi fanno la pace (ancora?), Vendola che cerca d’inserirsi. Uno spettacolo inverecondo. Salvo poi convocare la solita, inutile, retorica manifestazione del sabato pomeriggio. E intendiamoci, dimostrare fisicamente la propria insofferenza va anche bene. Ma poi ci vorrebbe pure qualcos’altro. Tipo un’idea, una proposta degna di questo nome. Una faccia, cazzo. O, perlomeno, smetterla di dar l'impressione di discutere soltanto di questioni tattiche, alleanze, fronti più o meno comuni. Per dire, il primo esempio che viene in mente: è uscita la prevedibile notizia che la pressione fiscale, con Berlusconi al governo, è aumentata. Si è sentito qualcosa, da sinistra? Poco o niente.

3) Ma quel che sempre di più è evidente è la totale inutilità dei vari dipietri, popoliviola, grillini e via dicendo. E quando ne parli con gli amici che invece aderiscono al movimento à la page in quel momento, ecco che la girano dandoti del collaborazionista, «almeno noi facciamo qualcosa».  E non c’è modo, nemmeno facendo notare come la banda Grillo già stia mostrando dinamiche da setta religiosa, e ‘sto popolo viola mobilita quattro gatti non di più, e le bordate di Di Pietro son roba da vergognarsi. E mica si vuol negare il valore di una sollevazione di coscienze: va bene, sfanculate/sfanculiamo tutto e tutti, e sicuro che inizialmente si prenderanno tanti (facili) applausi, e poi vai con le spillette, e le convention, i meet-up, i siti internet. Ma non basta, cazzo. Non basta cantarsela uno con l’altro, ché altrimenti si arriva alla masturbazione collettiva. Come detto, ci vuole anche dell'altro. Campagne che vadano al di là delle generiche parole d’ordine che significano tutto e niente, un altro modo di parlare e di porsi. Meno annizero, più incontri nelle sezioni di paese. Ci vuole che, oltre a manifestare il ribrezzo per Berlusconi, si passi il tempo  - più tempo, cazzo, più tempo – a costruire un’alternativa credibile, riconoscibile. Che sia in grado di discutere anche con i tanti delusi da questo governaccio, e a cui però non basta dirgli «Berlusconi fa schifo» per convincerli a votare uno come Bersani: piuttosto non votano. E' davvero così incomprensibile?

E poi, un’ultima cosa: ci si lamenta dei cosiddetti black bloc, che – ed è verissimo – di fatto annullano le buone ragioni  dei tantissimi che invece protestano pacificamente. Ma scusate, ma se uno definisce Berlusconi un dittatore, un «Noriega» (Di Pietro dixit), uno tipo Mussolini, ma allora come si fa a dire a questi stronzi che non devono assaltare e menare e incendiare? Un dittatore, un dittatore vero, si combatte anche con la guerriglia, no? E allora di che cosa ci si lagna?

martedì 14 dicembre 2010

Silenzio: classe dirigente al lavoro
















Risse, cori da stadio, minacce, gestacci. Ma ci meritiamo una classe politica così allucinante? Forse sì.

Ed è di Cazzullo, su Corriere.it, il commento definitivo: «Non c’è dubbio che per B. sia una grande vittoria politica e la conferma della regola fondamentale della sua vita: qualcuno da comprare si trova sempre».

lunedì 13 dicembre 2010

Il debito eterno

Ora, non è proprio argomento di stringente attualità, nel senso che adesso è invece il momento della pantomima sul genere fiducia sì / fiducia no, elezioni sì / elezioni no e quant’altro. E però, insomma, resta uno dei ritornelli più frequentemente recitati dal Berlusconi premier – ché invece, quando non dorme a Palazzo Chigi, l’argomento lo evita accuratamente. E, per quanto ci riguarda, anche uno dei più irritanti.

E dunque, ancora ieri l’ha ripetuta, questa storia dell’«abbiamo [nel senso che il suo governo ha] abbiamo ereditato il terzo debito pubblico del mondo», e poi via con l'elenco degli invisibili miracoli ottenuti grazie al suo governare, e per l’appunto nonostante 'sto debito pubblico ereditato. Che va bene, è anche vero che il fardello ce lo trasciniamo da decenni. Ma Berlusconi è diventato presidente del Consiglio la prima volta nel 1994, dunque 16 anni fa. Peraltro, il centrodestra di cui il Cavaliere è uomo-squadra ha governato otto anni negli ultimi dieci. Periodo durante il quale la spesa pubblica è addirittura aumentata, e il debito che grava sulle nostre capocce non è arretrato di un millimetro. 

E quanto deve ancora durare questo refrain del «debito pubblico ereditato»? Per dire, è come se all’inizio degli anni Sessanta l’avessero ancora menata con i disastri della Guerra Mondiale.

UPDATE - Come volevasi dimostrare:  «Nuovo record per il debito pubblico italiano, che nel mese di ottobre ha raggiunto i 1.867,398 miliardi di euro, contro gli 1.844 miliardi del mese di settembre. È quanto si legge nel supplemento al Bollettino di Finanza Pubblica di Bankitalia».

venerdì 10 dicembre 2010

Dipende

Millenovecentonovantanove: governo D'Alema










Duemiladieci: governo Berlusconi


















Da destra a sinistra, da sinistra a destra, passando per il centro.
Sempre così: nel Parlamento all'italiana il voltagabbana è cattivo e traditore soltanto quando passa al nemico.
Se invece si arruola nella nostra squadretta, allora diventa un ravveduto.

Dice che la politica è sempre stata così. Sarà. Ma resta una recita avvilente.

(E comunque, D'Alema e Berlusconi si son trovati mica così raramente sulla stessa linea).

giovedì 9 dicembre 2010

Babbei in sala d'attesa


E va bene il pragmatismo, e che quello là se ne deve andare. E poi le maniche tirate su, e le manifestazioni nazionali, e le primarie. E D'Alema contro Veltroni, e Veltroni contro Bersani, e Bersani contro Renzi, e poi D'Alema che si riavvicina a Veltroni ma non troppo, ed ecco Vendola che metaforizza e parallela e auspica. E il segretario emiliano che prima ad Arcore ci andrebbe a piedi, poi s'incazza se a piedi ci va quell'altro. E va bene tutto. Ma insomma, che pena 'sto Pd in trepidante attesa di quel che deciderà Fini. Il quale Fini è lì che un giorno te la fa vedere, l'altro si ritrae e la fa vedere a quell'altro, te la do, non te la do: la millenaria tattica della cosiddetta figa di legno. E poi guardali, i babbei con la lingua di fuori, "ma mi ha guardato? ma che cosa ha detto? ma dici che ci sta?".

Ma andate tutti quanti a Ballarò, andate.

Per capirci meglio (da Nonciclopedia)
La figa di legno (Mulier frigidas), detta anche Woodenpussy, è un esemplare di donna [e per estensione di persona, ndr] molto comune nel nostro ecosistema, che prima di offrire il suo tesoro segreto espone il corteggiatore a una lunga via crucis di vari anni.
L'atteggiamento della figa di legno durante il rituale del corteggiamento è quello di far annusare la propria attrazione  senza concedersi mai; da tale trappola olfattiva messa in atto dalla femmina per assoggettare il maschio nasce l'altro appellativo col quale è conosciuta la figa di legno: la profumiera. L'arma più comune di queste cortigiane è il due di picche (che possono applicare con crudeltà o con più tatto), con cui si liberano molto facilmente degli arrapati che si avvicinano a loro. In genere questo accade dopo la fase dello strusciamento, in cui la profumiera, attraverso un insieme di strategie che fanno alzare l'entusiasmo nel maschio, mostra atteggiamenti che verrebbero comunemente interpretati come una grande voglia di scambio sentimentale. Ciò che l'esemplare maschio ignora è che non potrà mai arrivare ad avere un rapporto sessuale completo.

sabato 4 dicembre 2010

Nota politica
















Berlusconi è andato in Russia.
Ha detto che non c’è nessuno alla sua altezza (…).
Poi che l’unico legittimato a governare è lui.
E che Fini è una bufala.
Che tanto i voti lui li ha (Berlusconi).
E Fini ha detto che invece il governo non ha più la maggioranza in Parlamento.
Ma ecco ancora Berlusconi che tanto se il governo viene sfiduciato si va a votare.
E Fini che andare a votare è da irresponsabili.
Bossi ha detto che aauarrghassrachas.
Tutti l’hanno guardato e hanno detto: eeeeehhhh?
Bossi ha ridetto che gliel’aveva già detto, a Silvio, che bisognava andare a votare. E che comunque votare o no alla Lega non gliene frega un cazzo, tanto la Lega sta col popolo del Nord.
Casini ha detto che anche Letta andrebbe bene, basta che Berlusconi si levi dalle palle.
Enrico Letta l'ha sentito e si è alzato.
Casini ha sbuffato e gli ha detto che no, si risedesse, è Gianni, parlava di Gianni, e cazzo la deve smettere che ogni volta che si dice Letta lui si gira. Letta è Gianni Letta, lui invece è Enricoletta, tutto attaccato.
Farefuturo ha scritto che bisogna fermare la deriva.
Rutelli ha detto che serve la convergenza e la larga intesa (testuale).
S’è inserito per un attimo Napolitano a dire di stare calmi, che tanto il presidente della Repubblica ha le sue prerogative.
Verdini gli ha risposto che non deve rompere i coglioni.
A questo punto s’è svegliato Bersani che se l’è presa per le parole gravi e offensive contro il capo dello Stato.
Infine Vendola ha concluso che comunque è giusto porre la questione delle primarie.

Pietà, vi prego.

giovedì 2 dicembre 2010

Conformismo a volto coperto

Ogni comunità, intesa come gruppo più o meno numeroso di persone unite da un qualsiasi interesse comune, sviluppa nel tempo modalità di relazione che spesso s’irrigidiscono in riti stantìi, gesti magari un tempo spontanei che degenerano in tic, idee che smettono di svilupparsi e si cristallizzano in slogan ripetitivi e monocordi. In una parola, il conformismo – strano parassita che cambia fisionomia  a seconda dell’ambiente in cui si sviluppa. Oggi, su Repubblica, Michele Serra smonta efficacemente l’insopportabile e ormai anacronistica retorica che si cela dietro l’immagine del “rivoltoso a volto coperto”, uomo-immagine delle proteste del sabato pomeriggio (e quanto si piace, quando si prepara e si guarda allo specchio e poi esce per andare alla manifestazione con la felpa e il cappuccio nero e la sciarpa sulla faccia).

Mi importa relativamente poco sapere se gli studenti in corteo siano più o meno di sinistra, più o meno estremisti, più politicizzati o più caciaroni, più ragionevoli o più eccitati. E sono certo che la mia esperienza personale e la mia formazione politica non possono valere anche per loro. C’è un solo discrimine (invalicabile) che mi impedisce di solidarizzare con alcuni di loro, ed è quando vedo volti coperti. Le maschere e i segreti definiscono il potere, che ha sempre qualcosa da nascondere. Non certo le persone libere. Le persone libere mostrano il volto, e sono così sicure delle proprie idee e del proprio diritto da non temere la repressione, e/o da affrontarla, quando occorre, a viso aperto. A volto coperto si fanno le rapine, non le manifestazioni. A volto coperto hanno agito e agiscono i violenti, i provocatori, gli ultras da stadio. I ragazzi e le ragazze di Teheran, a rischio della vita, sfilarono a viso aperto. Il volto coperto e i caschi con la visiera calata li usavano gli sgherri del regime. Se i nuovi cortei si lasceranno occupare, invelenire, usurpare da chi agisce a volto coperto, una lotta che è di tutti, che è pubblica, diventerà il campo di battaglia privato di pochi energumeni, di pochi egoisti. E’ già accaduto. Non deve accadere ancora.

mercoledì 1 dicembre 2010

La setta dei puri

Finiranno così, a mangiarsi l’un l’altro, cerberi inconsapevoli. Poi certo, alcune battaglie di Grillo e compagnia sono anche condivisibili, e lui riesce a essere davvero trascinante, sul palco sa muoversi come pochi. E però, da queste parti, si soffre di incurabile insofferenza verso i guru che dal pulpito dispensano verità incontestabili della serie noi-siamo-i-buoni-e-tutti-gli-altri-stronzi-da-eliminare – che abitino ad Arcore o in Vaticano, che abbiano la pelata e il mento volitivo o i baffoni e il colbacco, e anche che siano attori dal vaffanculo facile. No Guru. Tanto più che cominciano a emergere meglio le dinamiche interne al movimento, leggete qui. E va bene mantenersi alla larga da anacronistiche logiche di schieramento, figuriamoci - resiste in molti l'equivoco che Grillo e i suoi siano "di sinistra", mentre così non è. Ma ciò che sempre di più emerge è questa ricerca di consenso basata su rabbia epidermica e parole d'ordine le più generiche, che così son più o meno tutti d'accordo (tipo Lega, per intenderci). Con un'organizzazione in cui la tanto decantata "partecipazione" resta soltanto sulla carta - anzi, sul blog - mentre all'ombra del messia ligure nascono e crescono gruppuscoli locali che rispondono alla consueta logica di capi e capetti. E chi si permette di farlo notare viene subito etichettato come “provocatore”: un film già visto in molte altre sale.

Ed ecco poi quest’altra storia da Torino. Con Grillo che vaffanculeggia dal palco, e intanto dietro i suoi figliocci a dirsene di ogni. In Piemonte hanno eletto due consiglieri regionali, alle ultime elezioni: risultato eccezionale. E però già litigano. In vista delle prossime Comunali. Da una parte il gruppo vicino a uno dei neo-eletti che dice di aver rispettato il risultato delle primarie interne. Dall’altra quelli che invece accusano di essere stati emarginati, e chiedono di rifare le votazioni. Adesso addirittura  organizzano riunioni contemporanee e separate, proprio come uno di quei partiti che – non senza ragioni, intendiamoci – vorrebbero veder estinti. E viene in mente l’antica massima giacobina poi ripresa da Nenni, quella secondo cui «non si è mai puri abbastanza, c’è sempre uno più puro che ti epura». 

Si ghigliottineranno a vicenda, fino a che uno solo resterà in piedi. Indovinate chi.