giovedì 30 dicembre 2010

Castelli di carta

Ecco, c'è Feltri che ne dice a Santoro, e Santoro commenta con Travaglio, e Travaglio attacca Belpietro, e Belpietro se la prende con la De Gregorio, e poi la De Gregorio va contro Sallusti, e Sallusti torna ad attaccare Santoro, e il cerchio si chiude e la danza ricomincia (mentre Scalfari continua imperturbabile a parlare di Scalfari). E Repubblica contro "il modo di fare giornalismo" di Libero, e Libero contro "il modo di fare giornalismo" di Annozero, e Annozero contro Il Giornale, e Il Giornale contro l'Unità... Eccheppalle! Gli under trenta possono anche non crederci, ma in un tempo nemmeno tanto lontano i giornali raccontavano e commentavano quel che accadeva in politica. Oggi, sempre più spesso, è la politica a commentare quel che si scrive sui giornali. Fino al paradossale corto circuito, con giornali e giornalisti che riferiscono e commentano ciò che scrivono gli altri giornali e gli altri giornalisti, diventando loro stessi il centro del "dibattito politico", o meglio di quel che i giornali stessi definiscono tale, in una sorta di masturbazione pseudo-informativa. E' la sublimazione/degenerazione di una professione che in Italia - ma solo in Italia? - si è fatta sempre più autoreferenziale, e si parla addosso fino a sbrodolarsi. Anche al di fuori del cartaceo: anzi, in televisione la tendenza è ancor più evidente. Segno di quanto sia debole e poco autorevole e alla fine persino ininfluente gran parte della nostrana classe politica, nei talk-show ormai relegata a ruoli secondari, di complemento.

Paradossale, poi, è anche il fatto che questa autochiusura del giornalismo arrivi quando proprio i giornali perdono lettori in quantitá ormai esponenziale, e il mezzo - più che altro nella versione cartacea - viene considerato del tutto anacronistico dalle nuove generazioni, ed è opinione comune che abbia - perlomeno nel senso di media "di massa" - gli anni contati, destinato alla nicchia di sparuti appassionati come il disco in vinile e la radio a transistor. Quasi una difesa disperata del nobile lignaggio che fu. La Fort Alamo del giornalismo, ecco a che cosa somiglia. Solo che di quest'ultima "resistenza" importa quasi nulla a nessuno. Perché il mondo va avanti, bene o male, ma certamente guardando da un'altra parte. E tanti saluti alle nove colonne.

lunedì 27 dicembre 2010

Per adesso rimando

E poi certo, con tutti 'sti strumenti ipertecnologici riesci, volendo, a restare apparentemente sempre sul pezzo. Nel senso che, per dire, chi vive e lavora di notizie può senza troppi problemi mantenersi aggiornato a ogni ora del giorno e della notte. Riuscendo così a sedare quella vaga sensazione, quella simile al senso di colpa, del tipo "che cosa ci faccio qui, a fare un cazzo, che invece dovrei essere a lavorare?".
(Ed è, questa dell' ansia da vacanza, una delle più emblematiche perversioni di questa nostra bulimica eppur inappagata e inappagante società, ma questo è un altro discorso).

Tornando a quanto si scriveva all'inizio, e generalizzandolo, ecco, si parla di quando dai un'occhiata al tuo mondo, alla tua vita professionale, a quel che succede mentre tu semplicemente te ne stai in panciolle, e per un momento riesci a vederla da fuori senza esserne direttamente coinvolto, per qualche tempo anche fisicamente distaccato. E insomma, fai persin fatica a venire al punto, e però ti accorgi, anzi lo sai: di quelle cose, in fondo, te ne frega poco. Anzi, proprio non te ne frega un cazzo.

E allora, caro mio, vuol dire che hai un problema

Il passo successivo dovrebbe essere quello di affrontarla, questa cosa, senza accampare scuse del tipo "adesso non si può, non è il momento, hai una famiglia, c'è la crisi, non hai mica più diciott'anni" e cose del genere. 

Ma qui mi fermo. 
Giusto il tempo di trovare un'altra scusa valida.
E poi mi stanno chiamando, che è pronto da mangiare.

giovedì 23 dicembre 2010

L'importanza della dieta

Siamo tutti appesi a un filo, e io sono anche sovrappeso.

                                                                           - Zanna -

mercoledì 22 dicembre 2010

La tassa sul tumore

Perché poi alla fine è così che succede. Che a pagare sono i più deboli, e non la si consideri una frase fatta - macché, in Italia è una regola, e pazienza se suona retorica. Decenni di malamministrazione e clientelismo e inefficienze assortite hanno creato e nutrito il mostro che adesso tutto divora (il bilancio in primis). È la sanità in Campania, bellezza. È stato calcolato lo scorso anno che, per ogni abitante della regione, vengono spesi mediamente 1.215 euro. E però, in base agli standard nazionali, il sistema campano avrebbe potuto offrire gli stessi servizi utilizzando 388 euro in meno. Vale a dire, come ha sintetizzato Sergio Rizzo sul Corriere, che per l’appunto la Campania spreca un euro su tre. Uno scandalo a cielo aperto.

E così questi soldi - si perdoni la generalizzazione,  ma neanche si scrive proprio a caso  - questi soldi che servono evidentemente per mantenere una struttura pletorica, le assunzioni inutili, gli amici degli amici degli amici, gli istituti e i laboratori gestiti malamente e via dicendo, questo buco che pare incolmabile, ecco, lo si comincia a coprire  chiedendo denaro anche agli ammalati cronici e gravi, persino ai malati di tumore. Che, unico caso in Italia, dovranno sborsare cinque euro di ticket a ricetta, uno e mezzo per ogni confezione di farmaco – indigenti e trapiantati e dializzati esclusi.

È la Campania che si morde la coda, altroché - e per favore non la si giri tacciando di antimeridionalismo chi, amante del sud e con esso imparentato, si permette di esprimere la propria insofferenza nei confronti di quest’andazzo non più tollerabile. Troppi sorrisi indulgenti hanno accompagnato i favoritismi smaccati e le inattività addirittura esibite, quasi fossero elemento di folclore. Troppi ma che vuoi che sia uno in più o in meno? Ecco, se davvero sarà confermato il ticket per i malati gravi, i campani (ma mica soltanto loro, ché questo – come si dice – è un caso emblematico di una situazione certo più generale) i campani avranno un motivo in più per vergognarsi. E anche arrabbiarsi. E cominciare finalmente a cambiare le cose.

lunedì 20 dicembre 2010

Stile Gasparri

E comunque, il problema non sono tanto le consuete sparate fascistoidi di Gasparri sugli arresti preventivi e gli assassini in corteo – ché proprio non sorprendono -, quanto capire se raccolgano il favore degli elettori di Pdl e Lega, vale a dire di quella che allo stato attuale rappresenta la maggioranza dei votanti. Nel qual caso sarebbe sì grave davvero, conferma (ennesima) che i basilari concetti alla base di una concezione liberale dello Stato sono ormai del tutto dimenticati, in nome di un dibattito politico che riesce a raggiungere livelli di rozzezza degni del peggior barsport.

E tra l’altro, per quanto riguarda gli arresti preventivi, il riferimento di Gasparri all'inchiesta del '79 su Autonomia Operaia è del tutto fuori luogo, e ne dimostra la malafede o quantomeno l’ignoranza. Nel senso che, allora, i vertici di Aut Op furono arrestati perché ritenuti comunque responsabili di un reato commesso – il pm in sostanza ipotizzava che fossero il livello pensante che manovrava i brigatisti responsabili del sequestro Moro -, ipotesi di reato poi rivelatasi giuridicamente inconsistente. E dunque, nemmeno allora si arrivava a invocare l’arresto ancor prima che l’eventuale delitto fosse commesso, questo sì un mostro giuridico.

Tornando alle eventuali opinioni favorevoli alla sciocchezza-Gasparri, la prima reazione potrebbe essere quella di rinunciarci, di arrendersi di fronte all’evidenza che gran parte degli italiani si dimostra ormai del tutto assuefatta, pronta ad annuire a qualunque bestialità, o comunque a non farci caso. E invece no, è ancor di più necessario parlare, argomentare, far capire come sia una perversione politica lucidamente perseguita, quella di continuare a coltivare la frustrazione effetivamente esistente e anzi montante, alimentando e mantenendo ad arte una costante sensazione d’insicurezza su cui far leva strumentalmente. In sostanza, ci fanno vivere di merda autoeleggendosi a soluzione del presunto problema, che però non viene mai risolto proprio perché, altrimenti, perderebbe di senso la loro stessa ragione sociale.

Anche perché, quando non è più possibile nasconderla, la presa in giro emerge fragorosa. E l’opposizione, per dimostrare di essere uno schieramento politico degno di questo nome (...), dovrebbe evidenziarle con forza, queste contraddizioni. Molto più che accanendosi contro il Berlusconi puttaniere o quant’altro, strategia che - come s’è visto - non solo non paga, ma è addirittura controproducente.
Tipo, tanto per fare un esempio e restando in argomento sicurezza: adesso la Regione Veneto ha necessità di tagliare il bilancio, dunque diminuendo le spese. E che cosa succede? Succede che vengono diminuiti anche i fondi destinati proprio alla sicurezza. Ragion per cui d’improvviso il leghista Gian Paolo Gobbo – sindaco di Treviso ed erede di quello “sceriffo” Gentilini che dava delle scimmie agli immigrati e sbraitava contro i delinquenti che infestavano il nordest e voleva le ronde e tutte le stronzate di rito padano –, e insomma 'sto leghista Gobbo ora dice che «soldi non ce ne sono, in ogni caso la sicurezza non è più un’emergenza». Capito? Han conquistato le poltrone e devono far quadrare i conti e non bastano più i rutti e le bestemmie, e adesso di colpo «la sicurezza non è più un’emergenza». Dopo che per anni ce l'hanno menata - e certo torneranno a farlo quando gli farà gioco - raccontandoci di essere assediati da orde di criminali.
Ma vaccaghér.

giovedì 16 dicembre 2010

Spacciatori di cazzate / 2

Ecco, questo è l’esempio più calzante per illustrare quest’altro post sugli spacciatori di cazzate.

Il caso ormai è noto: la foto qui di fianco, inizialmente spacciata per immagine ripresa durante gli scontri di Roma dell’altro giorno, e che avrebbe dimostrato la presenza di poliziotti-provocatori infiltrati fra i manifestanti - e peraltro ce ne saranno stati di certo - ecco, questa foto è una bufala. Nel senso che si tratta di uno scatto che risale a incidenti avvenuti in Canada nel 2007. Bufala talmente evidente che, questa volta, la segnalazione della sua inattendibilità è cominciata a circolare poche ore dopo l’apparizione in rete. (Peraltro, mica in pochi han continuato a postarla un po’ dappertutto, naturalmente affiancandoci commenti sdegnati).

E però questo strafalcione, unito a quell’altro episodio sospetto poi rivelatosi infondato - il ragazzo incappucciato con la pala in mano, anch’esso indicato come agente infiltrato e poi invece identificato in un quasi 17enne più che esagitato - ha ottenuto fondamentalmente due effetti susseguenti. Prima, per l’appunto, aizzando i soliti che «questa sì che è controinformazione, contro i media di regime e le loro veline» - e però mai che si curino di trovare uno straccio di riscontro alle sconvolgenti rivelazioni «che ci vogliono nascondere» (sono gli spacciatori di cazzate, per l’appunto). E poi, una volta emerse le panzane, fornendo buoni argomenti al Gasparri di turno, che invece sbraita per far coincidere sempre e comunque i lanciatori di molotov con gli studenti in corteo, strumentalizzando la situazione e accusando chi dissente di essere «dalla parte dei violenti».

Ed è proprio questo il paradosso. Che coloro che si ergono a paladini dell’informazione libera e alternativa, in realtà, finiscono troppo spesso per propagare frottole clamorose, loro sì vittime inconsapevoli di un’informazione manipolata, attendibile quanto le chiacchere da bar. Riuscendo così a diffondere la sensazione che siano proprio loro, i taroccatori. E in questo modo squalificando agli occhi degli osservatori neutrali le cause che vorrebbero sostenere.

Bravi, bel risultato.

mercoledì 15 dicembre 2010

Punto e a capo

Qualche inutile considerazione di un dubbioso incazzato.

1) Sul fatto che Fini abbia deluso nei momenti decisivi, come quei discreti giocatori che però non riescono mai a diventar campioni, hanno scritto un po’ tutti. Dopo Almirante, il Fronte, l’Msi, An, sedici anni fianco a fianco con Berlusca, ultimamente c’era chi – anche e soprattutto a sinistra – lo dipingeva come il nuovo fenomeno della politica italiana. Il Maradona. Ma rischia invece di restare un Maiellaro qualunque. Poi possiamo giustamente indignarci per il mercato dei parlamentari, e però ricordando che trattasi di abitudine diffusa da una parte e dell’altra, basta dare un’occhiata qui.




2) In tutta questa vicenda è emersa ancora una volta l’inconsistenza  - più che altro l'irrilevanza - dell'attuale “sinistra”, e del Partito Democratico in particolare. Per mesi la politica, l’opposizione al governaccio, le speranze di un cambio d’orizzonte, tutto è rimasto all’interno dei confini del centrodestra. Mentre dall’altra parte, illudendosi che il regno del Cavaliere fosse davvero alla fine – e comunque, non è ancora detto che non lo sia -, ci si limitava a prefigurare improbabili alleanze con Fini, e più che altro ci si scornava su questioni incomprensibili: ed ecco Bersani che litiga con Renzi, D’Alema (ancora?) che litiga con Veltroni (ancora?) e poi fanno la pace (ancora?), Vendola che cerca d’inserirsi. Uno spettacolo inverecondo. Salvo poi convocare la solita, inutile, retorica manifestazione del sabato pomeriggio. E intendiamoci, dimostrare fisicamente la propria insofferenza va anche bene. Ma poi ci vorrebbe pure qualcos’altro. Tipo un’idea, una proposta degna di questo nome. Una faccia, cazzo. O, perlomeno, smetterla di dar l'impressione di discutere soltanto di questioni tattiche, alleanze, fronti più o meno comuni. Per dire, il primo esempio che viene in mente: è uscita la prevedibile notizia che la pressione fiscale, con Berlusconi al governo, è aumentata. Si è sentito qualcosa, da sinistra? Poco o niente.

3) Ma quel che sempre di più è evidente è la totale inutilità dei vari dipietri, popoliviola, grillini e via dicendo. E quando ne parli con gli amici che invece aderiscono al movimento à la page in quel momento, ecco che la girano dandoti del collaborazionista, «almeno noi facciamo qualcosa».  E non c’è modo, nemmeno facendo notare come la banda Grillo già stia mostrando dinamiche da setta religiosa, e ‘sto popolo viola mobilita quattro gatti non di più, e le bordate di Di Pietro son roba da vergognarsi. E mica si vuol negare il valore di una sollevazione di coscienze: va bene, sfanculate/sfanculiamo tutto e tutti, e sicuro che inizialmente si prenderanno tanti (facili) applausi, e poi vai con le spillette, e le convention, i meet-up, i siti internet. Ma non basta, cazzo. Non basta cantarsela uno con l’altro, ché altrimenti si arriva alla masturbazione collettiva. Come detto, ci vuole anche dell'altro. Campagne che vadano al di là delle generiche parole d’ordine che significano tutto e niente, un altro modo di parlare e di porsi. Meno annizero, più incontri nelle sezioni di paese. Ci vuole che, oltre a manifestare il ribrezzo per Berlusconi, si passi il tempo  - più tempo, cazzo, più tempo – a costruire un’alternativa credibile, riconoscibile. Che sia in grado di discutere anche con i tanti delusi da questo governaccio, e a cui però non basta dirgli «Berlusconi fa schifo» per convincerli a votare uno come Bersani: piuttosto non votano. E' davvero così incomprensibile?

E poi, un’ultima cosa: ci si lamenta dei cosiddetti black bloc, che – ed è verissimo – di fatto annullano le buone ragioni  dei tantissimi che invece protestano pacificamente. Ma scusate, ma se uno definisce Berlusconi un dittatore, un «Noriega» (Di Pietro dixit), uno tipo Mussolini, ma allora come si fa a dire a questi stronzi che non devono assaltare e menare e incendiare? Un dittatore, un dittatore vero, si combatte anche con la guerriglia, no? E allora di che cosa ci si lagna?

martedì 14 dicembre 2010

Silenzio: classe dirigente al lavoro
















Risse, cori da stadio, minacce, gestacci. Ma ci meritiamo una classe politica così allucinante? Forse sì.

Ed è di Cazzullo, su Corriere.it, il commento definitivo: «Non c’è dubbio che per B. sia una grande vittoria politica e la conferma della regola fondamentale della sua vita: qualcuno da comprare si trova sempre».

lunedì 13 dicembre 2010

Il debito eterno

Ora, non è proprio argomento di stringente attualità, nel senso che adesso è invece il momento della pantomima sul genere fiducia sì / fiducia no, elezioni sì / elezioni no e quant’altro. E però, insomma, resta uno dei ritornelli più frequentemente recitati dal Berlusconi premier – ché invece, quando non dorme a Palazzo Chigi, l’argomento lo evita accuratamente. E, per quanto ci riguarda, anche uno dei più irritanti.

E dunque, ancora ieri l’ha ripetuta, questa storia dell’«abbiamo [nel senso che il suo governo ha] abbiamo ereditato il terzo debito pubblico del mondo», e poi via con l'elenco degli invisibili miracoli ottenuti grazie al suo governare, e per l’appunto nonostante 'sto debito pubblico ereditato. Che va bene, è anche vero che il fardello ce lo trasciniamo da decenni. Ma Berlusconi è diventato presidente del Consiglio la prima volta nel 1994, dunque 16 anni fa. Peraltro, il centrodestra di cui il Cavaliere è uomo-squadra ha governato otto anni negli ultimi dieci. Periodo durante il quale la spesa pubblica è addirittura aumentata, e il debito che grava sulle nostre capocce non è arretrato di un millimetro. 

E quanto deve ancora durare questo refrain del «debito pubblico ereditato»? Per dire, è come se all’inizio degli anni Sessanta l’avessero ancora menata con i disastri della Guerra Mondiale.

UPDATE - Come volevasi dimostrare:  «Nuovo record per il debito pubblico italiano, che nel mese di ottobre ha raggiunto i 1.867,398 miliardi di euro, contro gli 1.844 miliardi del mese di settembre. È quanto si legge nel supplemento al Bollettino di Finanza Pubblica di Bankitalia».

venerdì 10 dicembre 2010

Dipende

Millenovecentonovantanove: governo D'Alema










Duemiladieci: governo Berlusconi


















Da destra a sinistra, da sinistra a destra, passando per il centro.
Sempre così: nel Parlamento all'italiana il voltagabbana è cattivo e traditore soltanto quando passa al nemico.
Se invece si arruola nella nostra squadretta, allora diventa un ravveduto.

Dice che la politica è sempre stata così. Sarà. Ma resta una recita avvilente.

(E comunque, D'Alema e Berlusconi si son trovati mica così raramente sulla stessa linea).

giovedì 9 dicembre 2010

Babbei in sala d'attesa


E va bene il pragmatismo, e che quello là se ne deve andare. E poi le maniche tirate su, e le manifestazioni nazionali, e le primarie. E D'Alema contro Veltroni, e Veltroni contro Bersani, e Bersani contro Renzi, e poi D'Alema che si riavvicina a Veltroni ma non troppo, ed ecco Vendola che metaforizza e parallela e auspica. E il segretario emiliano che prima ad Arcore ci andrebbe a piedi, poi s'incazza se a piedi ci va quell'altro. E va bene tutto. Ma insomma, che pena 'sto Pd in trepidante attesa di quel che deciderà Fini. Il quale Fini è lì che un giorno te la fa vedere, l'altro si ritrae e la fa vedere a quell'altro, te la do, non te la do: la millenaria tattica della cosiddetta figa di legno. E poi guardali, i babbei con la lingua di fuori, "ma mi ha guardato? ma che cosa ha detto? ma dici che ci sta?".

Ma andate tutti quanti a Ballarò, andate.

Per capirci meglio (da Nonciclopedia)
La figa di legno (Mulier frigidas), detta anche Woodenpussy, è un esemplare di donna [e per estensione di persona, ndr] molto comune nel nostro ecosistema, che prima di offrire il suo tesoro segreto espone il corteggiatore a una lunga via crucis di vari anni.
L'atteggiamento della figa di legno durante il rituale del corteggiamento è quello di far annusare la propria attrazione  senza concedersi mai; da tale trappola olfattiva messa in atto dalla femmina per assoggettare il maschio nasce l'altro appellativo col quale è conosciuta la figa di legno: la profumiera. L'arma più comune di queste cortigiane è il due di picche (che possono applicare con crudeltà o con più tatto), con cui si liberano molto facilmente degli arrapati che si avvicinano a loro. In genere questo accade dopo la fase dello strusciamento, in cui la profumiera, attraverso un insieme di strategie che fanno alzare l'entusiasmo nel maschio, mostra atteggiamenti che verrebbero comunemente interpretati come una grande voglia di scambio sentimentale. Ciò che l'esemplare maschio ignora è che non potrà mai arrivare ad avere un rapporto sessuale completo.

sabato 4 dicembre 2010

Nota politica
















Berlusconi è andato in Russia.
Ha detto che non c’è nessuno alla sua altezza (…).
Poi che l’unico legittimato a governare è lui.
E che Fini è una bufala.
Che tanto i voti lui li ha (Berlusconi).
E Fini ha detto che invece il governo non ha più la maggioranza in Parlamento.
Ma ecco ancora Berlusconi che tanto se il governo viene sfiduciato si va a votare.
E Fini che andare a votare è da irresponsabili.
Bossi ha detto che aauarrghassrachas.
Tutti l’hanno guardato e hanno detto: eeeeehhhh?
Bossi ha ridetto che gliel’aveva già detto, a Silvio, che bisognava andare a votare. E che comunque votare o no alla Lega non gliene frega un cazzo, tanto la Lega sta col popolo del Nord.
Casini ha detto che anche Letta andrebbe bene, basta che Berlusconi si levi dalle palle.
Enrico Letta l'ha sentito e si è alzato.
Casini ha sbuffato e gli ha detto che no, si risedesse, è Gianni, parlava di Gianni, e cazzo la deve smettere che ogni volta che si dice Letta lui si gira. Letta è Gianni Letta, lui invece è Enricoletta, tutto attaccato.
Farefuturo ha scritto che bisogna fermare la deriva.
Rutelli ha detto che serve la convergenza e la larga intesa (testuale).
S’è inserito per un attimo Napolitano a dire di stare calmi, che tanto il presidente della Repubblica ha le sue prerogative.
Verdini gli ha risposto che non deve rompere i coglioni.
A questo punto s’è svegliato Bersani che se l’è presa per le parole gravi e offensive contro il capo dello Stato.
Infine Vendola ha concluso che comunque è giusto porre la questione delle primarie.

Pietà, vi prego.

giovedì 2 dicembre 2010

Conformismo a volto coperto

Ogni comunità, intesa come gruppo più o meno numeroso di persone unite da un qualsiasi interesse comune, sviluppa nel tempo modalità di relazione che spesso s’irrigidiscono in riti stantìi, gesti magari un tempo spontanei che degenerano in tic, idee che smettono di svilupparsi e si cristallizzano in slogan ripetitivi e monocordi. In una parola, il conformismo – strano parassita che cambia fisionomia  a seconda dell’ambiente in cui si sviluppa. Oggi, su Repubblica, Michele Serra smonta efficacemente l’insopportabile e ormai anacronistica retorica che si cela dietro l’immagine del “rivoltoso a volto coperto”, uomo-immagine delle proteste del sabato pomeriggio (e quanto si piace, quando si prepara e si guarda allo specchio e poi esce per andare alla manifestazione con la felpa e il cappuccio nero e la sciarpa sulla faccia).

Mi importa relativamente poco sapere se gli studenti in corteo siano più o meno di sinistra, più o meno estremisti, più politicizzati o più caciaroni, più ragionevoli o più eccitati. E sono certo che la mia esperienza personale e la mia formazione politica non possono valere anche per loro. C’è un solo discrimine (invalicabile) che mi impedisce di solidarizzare con alcuni di loro, ed è quando vedo volti coperti. Le maschere e i segreti definiscono il potere, che ha sempre qualcosa da nascondere. Non certo le persone libere. Le persone libere mostrano il volto, e sono così sicure delle proprie idee e del proprio diritto da non temere la repressione, e/o da affrontarla, quando occorre, a viso aperto. A volto coperto si fanno le rapine, non le manifestazioni. A volto coperto hanno agito e agiscono i violenti, i provocatori, gli ultras da stadio. I ragazzi e le ragazze di Teheran, a rischio della vita, sfilarono a viso aperto. Il volto coperto e i caschi con la visiera calata li usavano gli sgherri del regime. Se i nuovi cortei si lasceranno occupare, invelenire, usurpare da chi agisce a volto coperto, una lotta che è di tutti, che è pubblica, diventerà il campo di battaglia privato di pochi energumeni, di pochi egoisti. E’ già accaduto. Non deve accadere ancora.

mercoledì 1 dicembre 2010

La setta dei puri

Finiranno così, a mangiarsi l’un l’altro, cerberi inconsapevoli. Poi certo, alcune battaglie di Grillo e compagnia sono anche condivisibili, e lui riesce a essere davvero trascinante, sul palco sa muoversi come pochi. E però, da queste parti, si soffre di incurabile insofferenza verso i guru che dal pulpito dispensano verità incontestabili della serie noi-siamo-i-buoni-e-tutti-gli-altri-stronzi-da-eliminare – che abitino ad Arcore o in Vaticano, che abbiano la pelata e il mento volitivo o i baffoni e il colbacco, e anche che siano attori dal vaffanculo facile. No Guru. Tanto più che cominciano a emergere meglio le dinamiche interne al movimento, leggete qui. E va bene mantenersi alla larga da anacronistiche logiche di schieramento, figuriamoci - resiste in molti l'equivoco che Grillo e i suoi siano "di sinistra", mentre così non è. Ma ciò che sempre di più emerge è questa ricerca di consenso basata su rabbia epidermica e parole d'ordine le più generiche, che così son più o meno tutti d'accordo (tipo Lega, per intenderci). Con un'organizzazione in cui la tanto decantata "partecipazione" resta soltanto sulla carta - anzi, sul blog - mentre all'ombra del messia ligure nascono e crescono gruppuscoli locali che rispondono alla consueta logica di capi e capetti. E chi si permette di farlo notare viene subito etichettato come “provocatore”: un film già visto in molte altre sale.

Ed ecco poi quest’altra storia da Torino. Con Grillo che vaffanculeggia dal palco, e intanto dietro i suoi figliocci a dirsene di ogni. In Piemonte hanno eletto due consiglieri regionali, alle ultime elezioni: risultato eccezionale. E però già litigano. In vista delle prossime Comunali. Da una parte il gruppo vicino a uno dei neo-eletti che dice di aver rispettato il risultato delle primarie interne. Dall’altra quelli che invece accusano di essere stati emarginati, e chiedono di rifare le votazioni. Adesso addirittura  organizzano riunioni contemporanee e separate, proprio come uno di quei partiti che – non senza ragioni, intendiamoci – vorrebbero veder estinti. E viene in mente l’antica massima giacobina poi ripresa da Nenni, quella secondo cui «non si è mai puri abbastanza, c’è sempre uno più puro che ti epura». 

Si ghigliottineranno a vicenda, fino a che uno solo resterà in piedi. Indovinate chi.

lunedì 29 novembre 2010

Tu quoque Obama

Siamo soltanto all’inizio, e già la diffusione da parte di Wikileaks dei report diplomatici più o meno segreti – qui sul Post uno schema per capirne – stanno provocando sconquassi mediatici planetari – politici meno, poi si vedrà. Per ora sul nostro presidente del Consiglio non è nemmeno uscito granché – cioè, granché dal punto di vista italico, ché ormai siamo abituati a tutto: nel senso, del suo quasi patologico puttaneggiare se ne sapeva eccome, e anche del suo godere nel prestarsi a scendiletto di Putin. E lui, Berlusca, per ora se la cava con una sorta di mussoliniano «me ne frego» (poi bisognerà vedere se uscirà qualche imbarazzante retroscena dei suoi affarucci con l’amico Vladimir, ma allo stato attuale non ce n'è traccia). In ogni caso, Palazzo Chigi ha poco da far spallucce: i giudizi dell’ambasciata americana rispecchiano tristemente ciò che dell’Italia si pensa nel mondo. E non è proprio il massimo.

C’è però una prima, importante vittima di quest’operazione, i cui contorni restano per la verità piuttosto sfocati. Ed è la stereotipata immagine di Barack Obama. L’Obama buono, dialogante, il messia che avrebbe finalmente rimesso in moto il progressismo mondiale. L’uomo nuovo che prima dell’elezione alla Casa Bianca ci aveva conquistato tutti, me per primo. E insomma, già nei mesi scorsi si era parlato di come, in Afghanistan, bombardi che sembra Bush, e con gli stessi scarsi risultati. Poi, dopo la bastonata repubblicana delle elezioni di mid-term, lo senti preannunciare che la sua epocale riforma sanitaria andrà per forza annacquata. E adesso vien fuori che la sua amministrazione, tramite Hillary Clinton, faceva spiare i vertici delle Nazioni Unite – ricordate quando noi e molti altri s’insultava Bush perché se ne sbatteva dell’Onu? – e, alla faccia del multilateralismo, considera richieste ed esigenze dell’Europa meno di zero. Addirittura Julian Assange, che di Wikileaks è il centravanti, definisce quello di Obama «un regime contro la libertà di stampa». Pensa te.

La verità è che dell’America, qui dall’altra parte dell’oceano, abbiamo sempre capito poco.

domenica 28 novembre 2010

Il Boss che ci piace

E' anche vero che da queste parti non si è proprio fanatici del Boss. Ma questa versione live di Because the Night al talk-show di Jimmy Fellon, con mezza E Street Band e i Roots, è davvero clamorosa.

sabato 27 novembre 2010

Le verità nascoste e gli spacciatori di cazzate

Non li sopporto più, cazzo. Non sopporto più questi sempre pronti a mostrarsi sicuri che sì, loro lo sanno com’è andata «anche se cercano di nascondere la verità» (che mica si fanno fare fessi, mica). Questi Sherlock Holmes da dopocena (o James Bond, a seconda dell’argomento). Questi convinti di essere sempre e comunque dalla parte della Verità in lotta con la Menzogna, e invece si rivelano soltanto stupidi spacciatori di stronzate preconcette.

E questi detective da tazza del cesso si dividono in due grandi gruppi: quelli tutti divano e tivù, generalmente specializzati in cronaca nera (ma non solo), e gli altri invece politicamente impegnati - e qui non è questione di destra o sinistra, ché l'andazzo è bipartisan. Peraltro fra loro si odiano, i divanati e gli impegnati, senza rendersi conto di far parte della medesima risma.  
Tipo, tanto per fare un esempio del primo tipo: il delitto della povera ragazzina di Avetrana, Sarah. Qui i segaioli/e da talk-show hanno dato il meglio. Prima erano sicuri che la povera ragazza fosse scappata da una famiglia inadeguata «e però io lo so, se n’è andata con uno più grande di lei».  Poi è arrivata la confessione dell’assassino, e subito tutti ad annuire, «ma certo, si vedeva che era un maiale quello lì, io l’ho sempre pensato», e però «la madre non la conta giusta, ma l’hai vista? ma ti pare una reazione normale? no no,  sapeva tutto». E via così, fino alla  successiva: lo zio ritratta la violenza e accusa la figlia? «Ma sì, era ovvio, io non l’avevo mica bevuta quella della violenza, e poi lo sapevo che quella Sabrina c'entrava, ma qui vedrai che è coinvolta anche la moglie». Un’infinita concatenazione di cazzate, che poi restano sospese per aria tipo le polveri sottili e avvelenano le (misere) intelligenze, «ma lo sai che la tipa di Cogne, l’assassina, lo sai che è parente di Prodi?». Tutto così, una scemenza dietro l’altra, e pronunciata col tono di chi rivela una verità inconfessabile. Ricordo quell’altra storia tremenda, quella del bambino rapito e poi ucciso a calci in Emilia, Tommy, e nei tinelli d’Italia s’era diffuso questo sussurro, «ma sì, dài, lì c’entra anche il padre, c’è qualcosa che non quadra ma non lo dicono». E litigai a grida con uno di questi, «ma forse tu hai informazioni prima degli investigatori? hai delle fonti confidenziali?», e in genere ti rispondono che «sì, insomma, mi sono fatto un’idea». E dunque uno, nel farsi un’idea dal suo fottuto divano, dà del pedofilo a un altro senza un motivo degno di questo nome. Lo fa così, a cazzo.
(Ed è evidente che il successo dei programmi che su  episodi del genere speculano si fonda proprio su questo meccanismo, questa perversione da portineria).

E poi, invece, ci sono i noi-sì-che-ne-sappiamo e però impegnati social-politicamente, che questo schema lo applicano a presunti complotti nazionali e internazionali. E sono convinti di essere l’avanguardia dei ben informati, questi, gli unici che cercano di diffondere la Verità in un oceano di bugie. E se la prendono con i mezzi d’informazione che nascondono e non dicono, e quando però gli chiedi dov’è che si sono fatti un’idea se non sui mezzi d’informazione ti rispondono che no, «io m’informo in rete» (come se la rete non fosse un mezzo d’informazione).  Tra l’altro, proprio in Italia esiste un’offerta informativa – nel senso della carta stampata – magari qualitativamente scadente, ma che abbraccia ogni posizione politica, da una parte all’altra, e ogni avvenimento viene presentato in base ai più diversi punti di vista. E dunque se gli fai notare l’ovvio – e cioè che anche in rete si trova tutto e il suo contrario, proprio come sui giornali, solo che “in rete” il controllo sulla fondatezza è di molto minore – loro fanno spallucce, e ti guardano come se fossi tu, il fesso.
Poi è vero, è soprattutto attraverso la televisione che in Italia la stragrande maggioranza delle persone si forma la propria idea, e lì dentro il livello è infimo e la parzialità la regola. Ma questo è argomento che si rinfacciano vicendevolmente  entrambi gli eserciti del bene, «ma lo vedi che schifo fa Minzolini?», «ma lo vedi tu che schifo fa Santoro?». Segno che perfino in tivù sono rappresentate – molto spesso malamente e anche dribblando l'insopportabile invadenza del potere, e siamo d’accordo – ma sono rappresentate le posizioni più diverse. Quelli che invece, magari durante la discussione del sabatosera oppure con un bel post sul blog o su Facebook, assicurano di rivelare finalmente la Verità Nascosta, ecco, in genere rivelano invece una sequela di puttanate infondate.

Ora, che il potere utilizzi anche la menzogna non è proprio una novità, peraltro è argomento di cui si discute da secoli. Ma il paradosso è che questi che loro sì che han capito come va il mondo, volendosi mostrare indipendenti rispetto alle bugie-costruite-ad-arte-dal-sistema-mediatico, si bevono le peggio cazzate messe in circolo dal meccanismo esattamente uguale e contrario. E, per dire, con sprezzo del ridicolo continuano a sostenere – chessò – che l’11 settembre se lo sono organizzato gli americani e gli ebrei, e che i grattacieli li hanno tirato giù con le bombe piazzate nei sotterranei - «che cosa dici? gli aerei? ma sì, dài, ancora ti bevi la storia degli aerei?». (Sembra incredibile, ma faccio quest’esempio apparentemente paradossale perché la tesi in questione resiste nel tempo, ne ho ridiscusso  giusto l’altro giorno: e non è che quell’altro sosteneva, non so, che è stato sottovalutato qualche allarme, o che si è in qualche modo ritorto contro l’America il fatto di essersi coccolata per anni Bin Laden e soci, o ancora che dopo gli attentati il potere ha strumentalizzato la situazione, tutte cose di cui si può discutere, soprattutto quest’ultima: no no, diceva proprio che l’esplosivo l’hanno portato con i camion, «ci sono le prove», e non c’è stato verso).

In ogni caso, a scanso d’equivoci: non si vuol certo qui esaltare il sistema informativo nostrano, che ce ne sarebbe da dirne i pacchi. Soltanto esprimere l’ormai per me insopprimibile insofferenza verso quelli sempre pronti a tirar fuori dalla tasca la Verità, e però sempre e soltanto se rispecchia le convinzioni che già avevano prima.
Andate a fanculo, che ogni volta che discuto con voi mi viene un fegato così.

giovedì 25 novembre 2010

Palla in banca

Non è che uno vuol fare il facilone, ma per dire: l’Abi, l’associazione bancaria italiana, quella che – così c’è scritto nel sito sotto l’intestazione – “rappresenta, tutela e promuove gli interessi del Sistema bancario e finanziario”, e la prima sezione s’intitola “Conoscere le banche”.   Ecco, l’Abi - che, ripetiamo, è l’associazione delle banche, non una banca -  è in crisi nera, quest’anno dovrebbe chiudere il bilancio con un rosso di 5,4 milioni di euro. Tanto che è costretta a licenziare fra i 50 e gli 80 addetti, su un organico di 308.
Poi dice che i risparmiatori devono stare tranquilli.

mercoledì 24 novembre 2010

E parla bene. Ovvero: Saviano e la sinistra in tivù

Discuti, t’appassioni, finché ti scaldi e addirittura alzi la voce che gli altri ti guardano strano, «ma possibile che devi sempre infervorarti in questo modo? guarda che sembri un matto». Poi torni a casa e vedi i politici in televisione o ne leggi le dichiarazioni e le interviste, sarebbero quelli che in linea di principio t’aspetti possano dire qualcosa per cui valga la pena per l’appunto d’appassionarsi e scaldarsi e alzare la voce e litigare come hai fatto fino a mezz’ora prima, e invece ti cadono i coglioni. Ti senti un babbione.  Nel senso che li percepisci così lontani, questi che fra poco ti chiederanno il voto. Lo/la/li vedi parlare ma non  arriva nulla o quasi. Per dire, ti chiedi perché una come la Serracchiani - che era emersa proprio perché sembrava parlasse diversamente, si ponesse diversamente, argomentasse diversamente - ora invece pare irrigidita, irreggimentata, noiosa e ministeriale. E dice anche cose condivisibili, intendiamoci. Ma non scalda, non coinvolge, e anche non convince più di quello che le si oppone , lei che per un attimo ci era riuscita. E l’interesse, la passione evaporano. Una scusa per nascondere la tua incorreggibile superficialità? Può essere. E poi cos’è questa necessità di essere “scaldato”, non ti bastano i concetti? E non ti rendi conto che insomma, una cosa è parlare al bar e un’altra è invece argomentare con serietà? «Eddài, vorresti che facessero come Berlusconi?». No, certo no. Ma insomma.

E però poi uno vede che c’è anche un altro modo.  Saviano che fa  nove milioni e rotti di telespettatori. E certo, le perplessità su alcune sue generalizzazioni restano intatte, e la trasmissione t’annoia pure (ed eccone qualche ragione). Ed è anche vero che un conto è avere a disposizione tutti quei minuti per parlare, un altro confrontarsi con i tempi contingentati e Gasparri che ti dà sulla voce e tu vorresti invece dargli sulla testa.  Ma non è questo il discorso che qui si vuol fare, non è un pro e contro nel merito, stavolta. Cioè, al di là di tutto, è chiaro che si tratta di un’operazione tele-politica, quella di “Vieni via con me”.  Nel senso: Saviano in questo momento viene percepito – e dunque è - un esponente politicamente schierato, un politico del centrosinistra. E anche come tale può essere valutato.  Ed ecco, c’è questa cosa: riesce ad apparire diverso, Saviano. Riesce a tirare in mezzo tanta gente – magari non me, ma chissenefrega.  Risulta più credibile per molti, anche se tale non sempre è. L’effetto novità? Può darsi. Ma sarebbe il caso di valutare se non sia  anche e soprattutto proprio una questione di linguaggio, comunicazione, atteggiamento. Nel senso anche superficiale del termine: parole più comprensibili, esempi più semplici, tono di voce più coinvolgente. Persino il viso, le movenze. E non è nemmeno che Saviano sia così abile, in video. Anzi, risulta persin impacciato – e in effetti anche questo finisce per essere un pregio. Naturale che queste considerazioni andrebbero poi svolte in direzioni meno generali, ma insomma, questo è il discorso. In ogni caso, continuando con il paragone con la Serracchiani – lei perché è fra quelle  indiscutibilmente in gamba – ecco, però sembra già una, come dire?, una fagocitata nella recita. Sembra Rosi Bindi, e sia detto con tutto il rispetto.

Dice: sì, ma i ragionamenti di Saviano sono grossolani. Perché, l’altra sera Bersani ne è uscito meglio? Non sembra. E Renzi ne esce meglio? Bah, facessero un referendum, ma l’impressione è che la differenza venga colta da chi si è già fatto un’idea, non da quelli che devono essere tirati in mezzo. E d’altro canto, anche Vendola risulta sempre più retorico. Saviano nella retorica ci ha intinto tutt’e due le mani, in queste serate, ma resta il fatto che viene percepito diversamente.

Intendiamoci, nessuno grida al Saviano presidente, ovvio non sia questo il punto. Ed è anche vero che il successo della trasmissione non significa necessariamente che qualcosa nell’aria stia cambiando. Ma qualche ragionamento in più sul modo di porsi e di parlare alle persone, ecco, non sarebbe tempo perso. Lo si è già fatto, lo si fa continuamente, ma evidentemente non si trova la via. Perché di quel che parlano a sinistra, si arriva a capire poco e male. E questo è un fatto. Poi si può anche sostenere che è colpa di chi ascolta malamente, ma sai che consolazione.

E allora risolvetela così

Dopo discussione accesa sul perché e il percome e visti i continui scazzi e rivalità e dispetti che lo spettacolo è penoso, un amico conclude  buttandola in vacca e sostenendo che dovrebbero risolverla così, alla vecchia.


E però perlomeno si arriverebbe, come dire, a una situazione chiara.

E poi lo so, Grillo con il Pd c'entra davvero nulla, né tantomeno c'entra con la sinistra o presunta tale - e per la verità anche questo schieramento sedicente progressista non si sa bene con che cosa c'entri, ma in effetti è considerazione banale e ormai inflazionata, senza contare che subito a seguire ci starebbe il solito discorso su sinistra-destra-categorie-ormai-inadeguate eccetera, e ci porterebbe troppo lontano (e poi sai che palle).
E comunque, tornando a Grillo, è fuor di dubbio che il suo movimento peschi anche e soprattutto fra gl'incazzati certamente ostili al centrodestra: nel suo ultimo vaffanculo lanciato contro Vendola e Saviano si avverte uno sgradevole odore di antipatia fra concorrenti.

domenica 21 novembre 2010

Santa réclame

Intendiamoci, va bene, giornalisticamente “è una notizia” e le va riconosciuto lo spazio che merita, titoloni e commenti e via dicendo. E nemmeno si vuol apparire ingenui, sottovalutare la “svolta (?) nel sentire comune”. Soprattutto per i tantissimi seguaci – che poi uno si chiede in quanti davvero “seguono” anche nei fatti, ma fa niente, è un altro discorso. E però, insomma, lascia un po’ basiti – più che altro a dei maledetti laicisti quali noi siamo – tutta questa prosopopea riguardo alle parole del Papa. Nel senso, Ratzinger ha pontificato sul fatto che – bontà sua - “in alcuni casi l’uso del preservativo è giustificato” (giustificato…), precisando poi “ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico”- e lasciamo perdere che viene considerato un “primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole” (cioè, vuol dire che si può fare – libero arbitrio, mi raccomando – si può fare solo quel che vuole lui).

Cioè, da tempo immemorabile si discute di malattie che stanno falcidiando continenti interi e quant’altro, e ora il Papa ci arriva e concede che sì, va bene, ogni tanto – ogni tanto, in “casi eccezionali” - usare il preservativo non ti condanna alla dannazione. E invece che  allargare le braccia e, per l’appunto, dirgli “ben arrivato, dài che puoi fare anche di più”, tutti o quasi ad applaudire con espressione seriamente impressionata, a scrivere editoriali d’approvazione (ma “prima”, fra questi, mai nessuno a fargli notare l’assurdità), a far cenno di sì con la testa sottolineando la saggia lungimiranza.

E dunque, un bell’applauso a Ratzinger, che ci ha informato di come una prostituta che vuol evitare l’Aids e usa il profilattico non è poi detto che finisca all’inferno.

Ah, naturalmente la Santa Sede ha subito precisato che non è il caso di montarsi la testa, e mica è una rivoluzione, questa, e il Papa non giustifica certo “l'esercizio disordinato della sessualità” - e tutti ancora ad annuire a mani alzate, “ah bè certo, figuriamoci”.
E infatti Malvino ci spiega proprio che, dal punto di vista dottrinale, non è nemmeno un cambiamento piccolo, anzi non è proprio un cambiamento punto. Anche se ribadirlo pubblicamente ha comunque una sua valenza. Questione di comunicazione - d'immagine, si potrebbe dire. In un momento in cui, peraltro, l'immagine della Chiesa non è davvero ai massimi.
Santa réclame. 

UPDATE: e poi nemmeno. Adesso si adombra che Ratzinger parlasse solo di prostituzione maschile, riguardo la tollerabilità cattolica dell'uso del preservativo. Pensa te: sosterrebbe dunque che nel caso di un rapporto omosessuale e a pagamento, allora sì, si potrebbe usare senza timordidio, che così non si passano le malattie. Dal Vaticano precisano comunque che è interpretazione fuori luogo. In ogni caso allora ecco, il punto cambierebbe, altroché: e come ha già fatto notare qualcuno, assumere l'aspetto di un evidente esempio di conflitto d'interesse. Ironia? Neanche tanto.

sabato 20 novembre 2010

Pannella, e stai Bonino

Nel senso, si sa che per i Radicali non è importante tanto scegliere fra «destra e sinistra di regime», quanto agire senza preconcetti e sulla base degli obiettivi da raggiungere – ed è vero, è logica che in passato ha permesso conquiste importanti soprattutto per quanto riguarda i diritti della persona. Ma veleggiare con nonchalance da una parte all'altra produce comunque una sensazione sgradevole.  Certo è che questo ventilato appoggio a un governo imbarazzante e boccheggiante è difficile da comprendere anche per chi  all’approccio radicale si è sempre sentito vicino  – magari non sempre condividendo nel merito, e anche con una crescente insofferenza iconoclasta verso il Pannella-Papa. Il quale, però, precisa che non c'è alcuna trattativa in atto, solo ricerca di dialogo.
Resta il fatto che c'è anche chi, fra i Radicali, dichiara che in cambio di una riforma della giustizia degna di questo nome e poi di una riforma elettorale, loro potrebbero anche contribuire a tenere in pista l’armata Berlusconi. A parte che insomma, cosa fai, ti fidi sulla parola? Ma comunque, eventualmente, in cambio di una promessa – e chissà poi se Radicali e leghisti, che sono poi quelli che decidono cosa si può fare e cosa no, sono  così d’accordo su come cambiare il sistema giudiziario e di voto – in cambio di questa promessa,  dicevamo, manterrebbero in vita un governo che:

1) s’inginocchia davanti a qualunque richiesta clericale, impippandosene della laicità dello Stato e anzi cercando di diffonderne una concezione ipocritamente bigotta, perlomeno a livello di decisioni politiche – sulle vicende personali meglio stendere il velo.
2) non vuole in alcun modo riconoscere i diritti di persone e famiglie che non si trovano in linea con lo schema cattolico, né ha la minima intenzione di riconoscere il diritto al testamento biologico (ma questa è in effetti un’ulteriore precisazione del punto 1).
3) è amico fraterno di Gheddafi e di Putin.
4) mantiene le carceri in una condizione medievale – e anzi  i carcerati non si lamentino, che tanto se sono in gabbia è colpa loro, e chissenesbatte dei diritti umani.
5) invoca il garantismo soltanto per i potenti, e quando invece si tratta di  poveri cristi si gira dall’altra parte.

E questo solo per restare su alcune specifiche questioni che i Radicali han dimostrato - giustamente - di ritenere importanti, ché d’argomenti di questo genere ce ne sarebbero i pacchi. Che poi, fai l'occhiolino a questa destra - anche se poi neghi - certo deludendo moltissimi di quelli che ti hanno votato – non tanti, per la verità, e comunque me compreso. E d’altra parte cercando risposte da chi considera le tue idee come il peggio del peggio, e ti evita manco fossi sterco del diavolo.
No dài, Giacinto Pannella detto Marco. Così non si può.

Poi c'è chi sostiene che sia solo provocazione.  Si vedrà. In ogni caso, una provocazione un po' così - come dire? - un po' del cazzo.

UPDATE: Castaldi riassume perfettamente in due righe tutta la vicenda.

venerdì 19 novembre 2010

Fatica

Io sono un dubitatore incurabile.

                                     - Zanna -

giovedì 18 novembre 2010

Caccia al Saviano (e occhio alle banderillas)

Nel mezzo di quest’irritante berciare sul pro e contro Saviano, con i consueti schieramenti contrapposti a sputarsi addosso  e giornali che addirittura raccolgono firme in sostanza per dargli dello stronzo, ecco invece su Lettera 43 un pezzo che cerca di mettere in fila qualche concetto su cui ragionare riguardo al discorso 'ndrangheta-nord-Lega. Consigliato, che così uno non perde il vizio di farsi un'idea al di fuori delle sempre più insopportabili logiche da tifosi da stadio.
Che poi Saviano scivoli su generalizzazioni a volte superficiali, bé, è successo, e lo si può anche dire senza passare per filo-leghisti. E poi uno rilegge alcune sue dichiarazioni mica così antiche. Tipo quando a Buttafuoco, quest’anno, parlava di Maroni come di «uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre sul fronte dell’antimafia». O ancora prima, e diceva che «non sopporto il sinistrume alla “noi siamo i sani, gli altri i corrotti e infami”» (e non era certo una critica alla "sinistra" in quanto categoria politica, ma all'atteggiamento di chi si vuol ergere sempre e comunque a depositario della Verità). Questo per dire che cercava di staccare ogni etichetta posticcia dalla sua importante battaglia di sensibilizzazione contro il malaffare mafioso. E insomma, l’impressione – sia detto con rispetto, ché la caccia al Saviano è sport che ripugna – l’impressione è che ultimamente indugi troppo nella ricerca degli applausi, per la verità sempre più numerosi, e però lo faccia ben sapendo qual è la fazione che attualmente lo sta eleggendo a beniamino - e qui s'intende non tanto il pubblico televisivo, quanto i caporioni politici e mediatici. Basta sia consapevole del fatto che stanno piantandogli la bandierina sulla testa, da una parte e dall’altra ("ha sempre ragione", "no, ha sempre torto"). Il suo ruolo in commedia è pronto, gliel'hanno ritagliato su misura. Speriamo scappi in tempo.

UPDATE: e a proposito di gente con le palle, ecco il servizio di Marco Mathieu su Giulio Cavalli, attore e consigliere regionale sotto scorta per aver denunciato la presenza della 'ndrangheta in Lombardia.

martedì 16 novembre 2010

La coerenza prima di tutto

"Chiacchiere e distintivo!
Sei solo chiacchiere e distintivo!"

               - The Untouchables -

Basculante

Ma santa de che?

Il pallone è mio, ridammelo! (ovvero: il Pd e le primarie)

Ora, va bene la discussione - per la verità a tratti surreale - su primarie sì primarie no, che si rischia la personalizzazione eccessiva, che è l'anticamera del presidenzialismo, e poi qui tanto non siamo mica in America eccetera eccetera. E però guarda che dalle parti del Pd sono ben strani. Prima s'inventano questa cosa, e la presentano come l'ultima frontiera della democrazia - ma neanche convintissimi. E invece dopo, se non riescono a mobilitare né a capire gli elettori, e soprattutto se non vince il candidato che loro ritenevano dovesse vincere, allora le primarie diventano una scemenza.
Poi dice che perdono voti.

UPDATE: dopo lo schiaffone milanese, i vertici del Pd locale si sono dimessi - e qui, in effetti, ci starebbe l'applauso, vista l'allergia della politica italica per l'assunzione di responsabilità. E poi un amico mi chiede, giustamente: ma adesso cos'è, fanno altre primarie per eleggerne di nuovi? Non è dato saperlo, anzi ovvio che no. Anche se, ripensandoci, così potrebbero riuscire a chiudere il cerchio: perdere anche contro se stessi.

lunedì 15 novembre 2010

Letizia supergiovane (e Pisapia alla Ds)

Cioè, ma la Moratti? Nell’ultima settimana si è fatta la comparsata da Victoria Cabello su La7, e parlava di sesso e autoerotismo e cose così, faceva la moderna. E poi l’altra sera da Chiambretti, che muoveva la testona a ritmo di dance e faceva la ridanciana. Ha deciso così, la Letiziona: visto che sulle “cose fatte” qui a Milano non è che ci sia molto da pontificare, allora la sindachessa a caccia di riconferma ci sfodera una tattica stile Carrà, magari ce la vediamo in Vittorio Emanuele che balla il tuca-tuca. 
Però c’è una cosa che la frega: la messa in piega. Bisogna fotterla su quella: una con quei capelli è una iattura mondiale per la capitale della moda. Si dice che adesso stiano pensando a metterla giù stile Nina Hagen, però è un po’ forte.

D’altro canto le primarie del centrosinistra le ha vinte il Pisapia, uno intelligente e anche con le palle e garantista di quelli rari, che per la verità con Vendola - e per fortuna - c'entra poco o nulla (anche se non proprio una nuova proposta, tanto per restare nel linguaggio da festival). E il candidato scelto dal Pd, il pienissimo di seissimo Boeri – e lui sì che avrebbe avuto bisogno di un’operazione simpatia -, c’è rimasto sotto. Ennesima dimostrazione della mancanza di sintonia fra i dirigenti democratici e gli elettori, e vabbé.

In ogni caso, quello delle primarie resta – in linea di principio – un meccanismo encomiabile, altroché. E uno si dice che insomma, figuriamoci, neanche da discutere, molto meglio così che fare la passerella negli show televisivi. E però, se fai due chiacchiere in giro, Pisapia e Boeri nessuno o quasi sa chi sono, e invece la buffonata della Letizia supergiovane l’han vista in tanti.  
 
E ci ripensi, e ti ridici che no, dài, facciamo i seri. 
 
E insomma no, nessun cedimento. E poi è il solito dibattito: per vincere è necessario adeguarsi agli unti meccanismi della politica-immagine, oppure restare fedeli alla linea tutta ciclostile e serietà? 
Eccerto, la serietà prima di tutto, echeccazzo. Poi è vero, 'ste primarie hanno registrato un’affluenza di molto inferiore alle aspettative, ma vabbé, pioveva, poi c’era anche il derby, e la domenica uno non c’ha voglia, no?
...
Che cosa dici? Magari una via di mezzo? Ma no, ma che c'entra la spocchia, dài... E se uno poi non si vuol informare, cazzi suoi, ignorante che non è altro.
...
Già, Pisapia. 
...
Ma così, un giro - chessò - un giro alla Domenica Sportiva? No, eh?

sabato 13 novembre 2010

A proposito

Oggi è la giornata mondiale della gentilezza.
Sai che cazzo me ne frega.

                                                   - Zanna -

venerdì 12 novembre 2010

Botta

Senti qua che musica mandano nei talk-show americani. E senti come suona.




E comunque, M.I.A. in concerto all'Alcatraz di Milano il prossimo 2 dicembre.

giovedì 11 novembre 2010

L'amore ai tempi del supermercato e di Sacconi

Avanti un altro. Dopo l’uscita dell’altro giorno del ministro Sacconi, con i contributi pubblici gentilmente elargiti ma soltanto alle coppie sposate con figli – salvo poi correggere la sciocchezza, precisando che, bontà sua, qualcosa avrebbe eventualmente mollato anche ai figli dei non sposati -, ecco che t’arriva  Alemanno con quest’altra geniale idea: tassare i single. E però anche lui subito dopo s’è corretto. La sua – dice – era una proposta a fin di bene, intendeva – aggiunge – concentrare le agevolazioni sulle famiglie con più bambini (e però sposati, se bisogna armonizzare le due trovate).

Ora, al di là dell’ormai prevedibile e in verità imbarazzante piaggeria verso le tonache, ché tra l’altro con le elezioni in vista è meglio metter già via qualche voto in sacrestia, non si capisce cos’abbia preso alla coalizione politica che, fra divorzi e corna e quant’altro, è certamente la più matrimonialmente disastrata della storia. Nel senso: oltre all’assurdità della convinzione che soltanto chi si sposa avrebbe dignità di definirsi “famiglia naturale” – ma naturale dove? ma naturale per chi? ma dove vivono? -, c’è poi quest’impostazione da supermercato, nella schematizzazione dei rapporti. Manca che distribuiscano una tesserino tipo le carte fedeltà, presente? Allora, tu quanti figli hai? Ecco tot punti, poi alla fine passa che c’è il premio. Tu non ne hai ma sei sposato? Vabbé, qualcosa t’arriva. E tu ne hai e non sei sposato? Eh no, allora niente. Voi poi, che di bambini non ne avete e convivete, o peggio che siete dello stesso sesso, allora è meglio vi serviate in un altro negozio, che qui non siete graditi. E’ così, è il complesso della patente a punti applicato ai sentimenti. Altro che “religione” e “natura”.

E non è che non si sappia come, in effetti, sia anche comprensibile un certo grado di schematizzazione sociale per le istituzioni, che solo così possono capire dove e come e in che misura intervenire. E però allora facciamo così. Visto che sarebbe imbarazzante ammettere ciò che per la verità è a tutti evidente, e cioè che certe proposte e decisioni che penalizzano per esempio le coppie di fatto – etero o gay che siano - sono figlie della sudditanza (elettorale, mica per altro) nei confronti di Vaticano e dintorni, uno dei luoghi comuni più rimarcati dai baciapile è quello di sostenere che sarebbe giusto favorire le unioni ufficializzate con le nozze perché “garantiscono stabilità sociale”. Dunque, in sostanza, se ti sposi io, Stato o Comune, ti premio. E però, seguendo questa logica demenziale, se poi divorzi allora dovresti essere punito. I divorziati li dovrebbero perdere, questi diritti e favoritismi, anche se poi si risposano - avendo per l'appunto tradito proprio la “stabilità sociale”. Per lo meno, dovrebbero saltare un giro.

Naturalmente è una provocazione. Ma sarebbe coerente con il loro assurdo modo d’argomentare. Che poi i pretoni sarebbero pure contenti, di metterla così e di punire i divorziati anche nell’aldiquà. Fra gli attuali governanti, però, si salverebbe nessuno o quasi. Sia di qua che di là.

mercoledì 10 novembre 2010

Esempi Radicali (liberi)

Ma allora si può. Ci si può ancora scontrare, eppur ragionando di politica. Si può persino – pensa te – fare opposizione a questo fallimentare governo senza travestirsi da moralisti e spiare le mutande di Berlusconi, che sinceramente repelle parecchio, o d’altra parte senza sproloquiare di rottamatori e future convergenze, che uno nemmeno capisce di che cosa si parla. Si possono  sollevare problemi, denunciare aberrazioni e magari indicare soluzioni. E il fatto è che, poi, si raccolgono pure i frutti, di così strano – per l’Italia - approccio politico. Cioè, uno segue campagne giornalistiche pornosoft e subisce le grida da talk-show e assiste ai vaffanculo mussoliniani dei nuovi guru da palcoscenico, e nulla o quasi si muove. E poi invece chi, all’atto pratico - e al netto del tafazzismo di Berlusconi -, crea i problemi più grossi al carrozzone governativo sono  – guarda un po’ – i Radicali. Proprio loro, che sui giornaloni passano per essere solo e sempre quelli del “cosa? ancora uno sciopero della fame?”. L’ultima è, per l’appunto, quella dell’emendamento presentato da Matteo Mecacci, deputato radicale classe ’75 (e poi ne riparliamo, dell’età), per impegnare il governo a ottenere da Gheddafi garanzie sul rispetto dei diritti civili nelle operazioni di respingimento dei clandestini. Emendamento passato nonostante l’ovvia opposizione del governo filo-raìs, così provocando il primo vero scossone parlamentare. Dice: ma non sarebbe stato così, se i finiani – buoni quelli - non avessero cambiato bandierina. Eccerto, ma fa parte del gioco: e però ci vuole competenza e tempismo. E soprattutto idee chiare sui princìpi: non si tratta solo di tattica ma anche di sostanza, visto che in questo caso si discute di salvaguardia di diritti umani.


Ora, non è che si vuol intonare il peana – e in questo senso meglio autodenunciarsi, visto che chi scrive dei Radicali è  tifoso – ma è un fatto  che, nel recente passato, è stato sempre il drappello liberale e libertario - aggettivi troppo spesso dimenticati - a creare veri problemi alla maggioranza.  Cioè, dopo lo scandalo Marrazzo e le seguenti elezioni laziali e il poco dignitoso fuggi-fuggi progressista in vista della batosta data per scontata, chi s’è messa a pedalare quasi sfiorando il clamoroso colpaccio? La Bonino. E in quell’occasione è stato sempre un esponente radicale – Diego Sabatinelli, quarantenne – a smascherare il pastrocchio delle firme del PdL. E, restando in argomento, si deve al radicale Marco Cappato – milanese, 39 anni e già un’esperienza politica nazionale e internazionale da far invidia – l’emersione di quella farloccata che è stata la raccolta-firme dei formigoniani, in vista sempre delle ultime Regionali.  E le carceri, scandalo italiano che tutti quando se ne parla in tivù sfoderano l’espressione contrita - «…ah sì, questo è davvero un grave problema da risolvere…» - e poi però è sempre Rita Bernardini che si prende la briga di andare e vedere e denunciare, il più delle volte nel disinteresse più assoluto – anche da parte della “sinistra”, e le virgolette non sono per caso. 
 
E poi uno può essere d’accordo o meno sulle loro battaglie politiche e civili – e tanto per ribadire, chi scrive lo è – e però sono questioni reali, concrete che di più non si può. Le garanzie di giustizia per vittime e imputati e detenuti, sconosciuti o potenti o rom che siano. L’autodeterminazione della propria vita dal principio alla fine. I diritti da riconoscere anche a legàmi che non rientrano nei canoni pseudo-cattolici. E ce n’è molte altre, ce n’è i pacchi, e non soltanto nazionali – così, tanto per ricordarsi che oltre le Alpi c’è di più. Tutte così lontane, in effetti, dalle pippe formalistiche e dagli equilibrismi cui questo fantomatico Partito Democratico ci ha abituato. 

Ed è anche comprensibile, per la verità, che coloro che in linea di principio potrebbero riconoscersi  in questo tipo d’approccio – e dunque trattasi di persone in genere allergiche agli intruppamenti e alle logiche di scuderia –, è comprensibile, dicevamo, una certa diffidenza verso l’incontestato e incontestabile e immarcescibile leader, il “Papa radicale”, il Pannella che qualcuno ha descritto come un Crono pronto a sbranare i figlioli che s’azzardano a fargli ombra o a contraddirlo – e, osservando dall’esterno, non risulta nemmeno così difficile a credersi. Ma, come dimostrato dalle età degli esponenti sopracitati, non mancano certo le nuove leve, in grado di incidere davvero nelle vicende politiche. Senza tanti ballarò.
 
E alla fine, se volete, tenetevi pure Vendola e Renzi. O magari Bersani, che così imparate.

martedì 9 novembre 2010

La versione di Saviano su Falcone

E insomma, sarebbe ormai il caso di cambiare prospettiva e accenti, quando si parla di Saviano. Premessa: quelli che ce l’hanno sullo stomaco è meglio si prendano un’alka seltzer. Saviano è ormai giornalista famoso e seguìto, il suo punto di vista interessa a molti e non si capisce perché non debba esprimerlo in televisione, tanto più che fa ascolti da paura (e a proposito, anche questa cosa del “giornalismo snob” mostra la corda: cioè, la trasmissione sarà pur risultata a tratti noiosa e anche retorica, ma questo è parere mio, e però ha quasi doppiato  il Grande Fratello, vedi un po’. Non che questo sia necessariamente indice di qualità, intendiamoci, ma "snob" proprio no: al limite nazional-republik-popolare).   
Tornando al dibattito Saviano sì Saviano no, lo schema è ormai stucchevole e ripetitivo: da una parte sempre e comunque stronzo (e chissà perché), dall’altra sempre e comunque santo. Possibile che non si possa discutere nel merito delle cose che dice? Per dire, ieri ha monologato su Falcone, emblema di vittima della “macchina del fango”. Verissimo, ed è giusto ricordarlo. E però, allora, Saviano dovrebbe  raccontarla tutta, non limitandosi a indicare i detrattori del giudice con un generico e quasi sussurrato “destra, sinistra e centro”. 
Nel senso: anche e soprattutto a causa dei toni spesso sciagurati che quest'indifendibile centrodestra usa contro la magistratura, vien automatico pensare che anche Falcone sia stato attaccato e isolato da quella parte politica. E invece, cercando di andare oltre le logiche di schieramento, non è proprio così: gli attacchi a  Falcone, il suo presunto “protagonismo”, la sua prudenza - considerata eccessiva - nei confronti del “terzo livello” e dei referenti politici di Cosa Nostra, tutte queste cose gli venivano rinfacciate – chessò – da Leoluca Orlando, allora sindaco di Palermo e attuale esponentissimo dell’Italia dei Valori, e anche da certa stampa di pseudo-sinistra a caccia di teste da mozzare (che una volta era caratteristica della destra, invece): l'Unità gli diede dell' "insabbiatore", Repubblica lo paragonò ai "guitti televisivi" - citazioni testuali, queste. Ovvio, criticare è legittimo anche quando si tratta - "si trattava", in questo caso - di Falcone. E però basta poi non far finta di nulla: e penoso fu lo spettacolo che seguì l'attentato, quando - per dirla con Montanelli - tutti corsero a farsi vedere "con le unghie conficcate nella bara".
E sempre Saviano, nel suo intervento, ha arringato su immagini di un vecchio convegno cui proprio Falcone aveva partecipato: e però s'è scordato di ricordare (...) che il giudice saltato in aria a Capaci si diceva, anche in quella sede, favorevole alla separazione delle carriere fra giudici e pm, e criticava la “visione feticista dell’obbligatorietà dell’azione penale”, e anche si dimostrava più che diffidente nei confronti di un Csm in cui “le correnti si sono trasformate in cinghie della lotta politica”. Tutte considerazioni  oggi etichettate come “irricevibili e indifendibili” dagli stessi commentatori sedicenti “progressisti”, quelli che si sono autonominati difensori del diritto – in un Paese, e questo è innegabile, in cui il diritto se lo son dimenticato in molti.
E questo mica per fare la classifica. Però si parla tanto di memoria che quasi quasi ci si dimentica dei fatti.

UPDATE: sarà anche cattivo, però merita il pezzo di Rondolino su Frontpage.