giovedì 13 gennaio 2011

Poi dice che gli operai si buttano a destra
(ovvero: la sinistra, il lavoro e Giorgio Gaber)

In origine questo post sulla vicenda Fiat era più lungo e articolato.
Si parlava delle ragioni della Fiom - anche al di là di come la si pensi nel merito della questione - nel definire una farsa questo referendum fra i lavoratori sull'accordo che cambia le loro condizioni di lavoro. Un referendum che se vince il "sì" va tutto bene e l'accordo è buono e santo, ma se vince il "no" allora non è che se ne ridiscute, no, la fabbrica chiude - e che gioco è? allora non fatelo, il referendum, ché mica siete obbligati.

E poi però si ragionava sulla vetusta impostazione dei sindacati, in senso anche più generale, che negli ultimi anni non han saputo adeguare proposte e soluzioni e tutele a cambiamenti planetari - per esempio concentrandosi esclusivamente su chi il posto giá ce l'ha e trascurando colpevolmente precariato e mobilità, e mica per niente gran parte degli iscritti sono pensionati. E in questa vicenda è emerso palese come i loro "strumenti di pressione" siano ormai del tutto spuntati.

E infine ci si allibiva per questa santificazione del manager Marchionne, che certo sarà anche abile e moderno, e peró insomma, la sua azienda è in crisi e lui la risolve chiedendo, anzi intimando, ai lavoratori di adeguarsi a nuovi ritmi - in parte anche comprensibilmente - senza però presentare un progetto industriale degno di questo nome, chessò, nuovi e competitivi modelli d'auto, obiettivi proiettati nel tempo. Niente, tutto al buio.

Poi però è tornato fuori Giorgio Gaber, nel senso che "a parteggiare per la destra non ce la faccio proprio fisicamente, ma niente e nessuno mi fa incazzare come la sinistra". No, perché la verità è che, ancora una volta, da questa vicenda emerge in tutta la sua inarrivabile inconsistenza proprio la sinistra nostrana.
Per dire, riguardo al referendum: uno dice che voterebbe sì, l'altro no, altri addirittura sì e anche no. Poi ci mancava Vendola e la sua passerella a Mirafiori. Un pasticcio. Cioè, questo del lavoro dovrebbe essere un tema fondamentale - anzi, Il Tema. E invece i capoccioni progressisti non riescono nemmeno su questo a elaborare uno straccio di linea comune, una prospettiva politica sulla questione. Niente di niente, ognuno per conto suo.
E non si dica, please, che questa è la consueta critica sterile o tafazzismo distruttivo. Invece no, al contrario: semplicemente, qui - ripetiamo - si chiede che il maggior partito di centrosinistra elabori finalmente un'interpretazione politica complessiva e comune e magari anche proiettata nel presente e nel futuro - e non nel passato - su un argomento così importante come il lavoro. Altrimenti a che cazzo serve un partito?
E di fronte all'ultima spacconata berlusconiana, che si dice voglia cambiare nome al partito chiamandolo "Italia" - a parte l'irresistibile proposta di chi gli opporrebbe un magnifico "Resto del Mondo" - ecco, mettendosi paradossalmente sullo stesso piano, una parola alternativa potrebbe davvero essere "Lavoro".
E invece niente, cazzo. Niente.

Poi uno dice che gli operai votano Berlusca o Lega. E c'è anche l'insopportabile presunzione da salotto nel sostenere che lo fanno perché si sono rincoglioniti davanti alla tivù. No, è che hanno visto e ascoltato. E poi hanno cambiato canale.

UPDATE: E dopo la "riunione di direzione del partito" - che non si sa bene che cosa diriga - ecco che va in scena l'ennesimo scazzo fra Bersani e club Veltroni, con questi che prima scazzano e poi fanno quelli che si calmano. Ancora una figura piuttosto misera. Il sospetto è che lo facciano apposta.

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