giovedì 7 luglio 2011

La coppia dell'estate


















Ed eccola qui, la nuova coppia della nostrana politica-cabaret estiva.
E comunque, se qualcuno riuscisse a convincerli e a tentare una per la verità tardiva carriera cinematografica, questi ti passano alla storia anche più di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
Ma, osservando l'espressione del Berlusca, non si può d'altro canto non avvertire quasi un moto di compatimento.
Ormai gli è rimasto solo Scilipoti.
La rivoluzione liberale è rimandata. Alla prossima vita.

domenica 26 giugno 2011

Un tiro alla fune spezzerà la Lega

LEGA: SI SPEZZA FUNE, TRENTA CONTUSI E DUE SOSPETTE FRATTURE (ANSA)

SESTO CALENDE (VARESE), 26 GIU - Sono una trentina, secondo quanto si è appreso sul posto, i contusi e due le sospette fratture fra i militanti leghisti caduti a terra oggi pomeriggio, quando alla festa della Lega di Sesto Calende, si è spezzata la fune che era stata tesa sul Ticino per la sfida tra le due sponde. La manifestazione lungo il fiume si è poco dopo conclusa, ovviamente più in fretta di quanto previsto. Sul lungofiume di Sesto Calende è fra l'altro arrivato da poco il leader della Lega Nord Umberto Bossi. A piazza ormai semivuota, Bossi ha rinunciato al previsto intervento dal palco e si è seduto a sorseggiare una bibita ai tavolini all'aperto di un bar, senza fermarsi a parlare coi giornalisti. Il leader del Carroccio è in compagnia, tra gli altri, del capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, del presidente del Piemonte, Roberto Cota, del capo delegazione all'Europarlamento Francesco Enrico Speroni e dell'europarlamentare Mario Borghezio. (ANSA). YN9-GNN/KO 26-GIU-11 18:48 NNN 

Ecco, quel che Pizzul chiamerebbe "ironia della sorte".
E questi, per dire,  son quelli che "a noi non ci fregate", "vi spacchiamo il culo", "la Lega ce l'ha duro" e amenità del genere.

E la speranza è proprio questa, che finiscano per strozzarsi con un tozzo di polenta, soffocarsi per un rutto, affondare nella paura autoinflitta per mancanza di persone disposte ad aiutarli, perdersi in un luogo comune.

Schiacciati dalla loro ostentata e inesorabile ignoranza.

sabato 18 giugno 2011

Oh, scusa, ma tu da che parte stai?

Ma insomma, è possibile essere profondamente ostili a Berlusconi e tutto quel che rappresenta e però trovare insopportabile il conformismo dei discorsi di troppi antiberlusconiani, che quando cominciano a parlare d’un qualche argomento già sai in partenza quali sono premesse e svolgimento e conclusione, e se poi provi a discuterne ti rendi conto che hanno ben chiaro lo schema e poi chissenefrega di metterlo in discussione tanto è così? (...e quando non sanno che cosa controbattere a una tua eventuale contestazione, ecco che parte il “ma cosa c’entra?”).

E si può considerare la riorganizzazione del mercato del lavoro un problema essenziale e prioritario di questo Paese, e però accorgersi d’essere ormai insofferente al comizio del solito precario in favor di telecamera che è tutto uno slogan che più generico e denagogico non si può?

E si può amare artisticamente Benigni e i suoi film (non tutti, però) e apprezzarlo quando legge Dante e anche quando dispensa retorica sull’inno, e però trovarlo noioso e stancamente prevedibile quando salta in braccio e si butta per terra e ripete per l’ennesima volta la gag del pinocchietto monellaccio?

No, perché poi succede come al solito: che ti schifano sia da una parte, sia dall’altra.

Mi sa che ho bisogno di una vacanza.

mercoledì 15 giugno 2011

Giochi di ruolo (ovvero: la gente fa schifo, ma dipende)

E vai, che ci si cambia di ruolo, tu vieni al mio angolo che adesso tocca a me stare un po’ nel tuo.

Perché insomma va bene, referendum passati, ennesimo sberlone rifilato all’impresentabile cialtrone di Arcore, grande festa, evviva evviva (e sia detto senza ironia). E però, una cosa risulta francamente insopportabile. Con parecchi di quelli che adesso si sbracciano e sventolano ed esultano per “la svolta” e addirittura “sono orgoglioso di essere italiano”, ecco, sono gli stessi che fino a un mesetto fa  “che schifo gli italiani” e un popolo di pecore e “che Paese di merda” e via nauseandosi e insomma, che morissero tutti, questi stronzi che votano diversamente da come voto io.

Adesso non più.
Adesso chi prima era una sorta di decerebrato privo di qualunque coscienza civile e obnubilato dal Grande Fratello è improvvisamente ritornato ad esser degno d’esistere.

E dall’altra parte, a destra, è la stessa cosa, solo uguale e contraria. Che per anni ci hanno tormentato con “il popolo” e “l’importante è come si esprimono gli elettori” e ancora “i radical chic che snobbano il sentimento popolare” e “viva la cultura del rutto abbasso la cultura de sinistra”, e poi guarda un po’ che adesso il popolo è diventato - stavolta per loro - una mandria facilmente condizionabile e si son fatti turlupinare e han voltato le spalle a Berlusconi per colpa dell’aggressione mediatica e sui referendum “ha vinto la paura”. E via così.

E per concludere: che pena quelli che la gente è intelligente e informata e degna di rispetto ma soltanto quando la pensa come me.
Fanculo.
Non vi sopporto.

lunedì 30 maggio 2011

Milano non ha (più) paura

E niente, al netto delle esultanze - anche comprensibili - tutte palloncini e cotillons, ci pare che queste elezioni abbiano evidenziato soprattutto due cose.

1) Un tempo - e pare un secolo fa - era proprio Berlusconi che si poneva, e per la verità veniva da molti percepito, come il volto sorridente e ottimista della “nuova politica” (che nuova lo fosse nient’affatto poi lo si è visto), così contrapponendosi ai polverosi e risentiti discorsi dei politici di professione. E insomma, questa sensazione oggi s’è ribaltata, con la muta rabbiosa degli esponenti di centrodestra a gridare scomposta e dispensar terrori e presentarsi con un’immagine torva e inquietante, sepolta - soprattutto a Milano - da una secchiata d’ironia.
Ecco, l'ironia.
Ed è svolta importante, anche quest'ultima - l'ironia come "arma elettorale" -, dopo che per anni la cifra del centrosinistra era stata unicamente quella del “dàgli al Cavaliere”.
L'ironia libera tutti.

2) Ma, soprattutto, da questa tornata vien fuori che la gente - la gente di centrodestra, soprattutto, ché dall'altra parte la percezione era già diversa - non ha più paura.
Imprevedibile, ma è così: non ha più paura.
Dei clandestini, degli islamici, dei comunisti.
Cioè, non basta più.
Nel senso, magari se ne preoccupano, ma non si teme più l'invasione dei barbari, s'è capito che è una cazzata inventata ad arte. Questa perlomeno è la netta impressione. Agli inizi degli anni Novanta, quando esplose la Lega, l’Italia conosceva la prima vera ondata migratoria, soprattutto dai Paesi dell’Est e dai Balcani - gli albanesi, ricordate? Ai tempi la sinistra sottovalutò il normale timore che nasce nella maggioranza della gente di fronte a fenomeni di questo genere, così lasciando campo libero ai richiami razzistoidi del Carroccio - occhio che questi sono delinquenti, ci stuprano le figlie, chiudetevi in casa, e poi ci rubano il lavoro e via dicendo. Impostazione poi rivitalizzata dopo l’11 settembre, solo con una più accentuata caratteristica anti-islamica.
Ecco, la politica della paura è stata cavalcata a ogni appuntamento elettorale, in tutti questi anni. Ma, nel frattempo, la gente ha avuto la possibilità di metabolizzare - in questo senso sì, Milano è l’avanguardia. Confrontandosi tutti i giorni con “lo straniero”. Discutendo nei consigli di classe. Vedendo lavorare i manovali immigrati. Mangiando le pizze cucinate dagli egiziani. Arrivando a capire che, cristosanto, c’è certo differenza fra criminali e brave persone, ma non in base al luogo di nascita.

Arrivando a capire che non c’è nulla di cui aver paura.

E se davvero così fosse, vorrebbe dire che l’aria è cambiata sul serio.

Nemesi rumena

Berlusconi attende i risultati dei ballottaggi in Romania.
In Romania.
Siamo alla nemesi.

giovedì 26 maggio 2011

Il segreto dei fenicotteri rosa

E insomma, ieri litigio domestico per i consueti motivi - sempre gli stessi, cazzo, sempre gli stessi - e oggi mi torna sotto quest’altra notizia, che può sembrare una spigolatura da Settimana Enigmistica ma anche no. E niente, mi viene da affiancare le due cose, ché invece a prima vista c’entrano nulla.

Partiamo dunque dalla seconda, che l'ha data la Bbc e anche il sito pseudo-scientifico livescienze.com. Dunque, ci sono questi due scienziati americani, lavorano all’università di Saint Joseph a Philadelphia, sono molto interessati allevoluzione dei comportamenti. E c’hanno ’sta fissa dei fenicotteri  rosa. Ne studiano il modo di fare e l’influenza dell'ambiente sugli atteggiamenti e cose così, roba da etologi. Ma c’è una domanda in particolare, che si son posti: perché stanno sempre su una zampa sola? Qual è il motivo profondo? E hanno osservato e confrontato. Appurando inizialmente che non hanno una gamba preferita, su cui soffermarsi. Perfetto.

Lo studio si è fatto sempre più approfondito. Basato più che altro sull'osservazione degli esemplari ospiti dello zoo di Philadelphia. Fino alle geniali conclusioni dei due ricercatori. Punto primo: i fenicotteri  preferiscono sostenersi su una zampa sola più quando sono nell’acqua rispetto a quando, invece, se ne stando tranquilli sulla terraferma. «E questo - dice uno dei due, ed è il punto secondo - supporta la nostra ipotesi. E cioè che questo atteggiamento sia legato alla termoregolazione del corpo». La “termoregolazione del corpo”, dunque: tanto per semplificare, significa che i fenicotteri  rosa se ne stanno su una zampa, quando sono in acqua, per avere meno freddo possibile. Cioè, alla lunga restare a mollo con tutt'e due le zampe diventa una tortura. E allora, a turno, ne alzano una, e quando l’altra è rattrappita, cambiano zampa. Pensa te.

Questa sconvolgente notizia si presta a due osservazioni. Per prima cosa, sempre più spesso ci si chiede se certi sedicenti studi scientifici siano davvero pagati dai relativi istituti di ricerca, o sono soltanto una presa per il culo, indirizzata soprattutto ai giornalisti pronti a bere le bufale più assurde se solo risultano “curiose e divertenti”.
Oppure si prende lo studio un po’ più sul serio. E allora, non si può fare a meno di notare che sempre di più - e mica solo gli scienziati - ci si aggroviglia a interpretare segnali, immedesimarsi in situazioni, immaginare misteri. Per cercare chissà dove spiegazioni che, il più delle volte, sono evidentemente davanti a noi. E qui perdonatemi, ma ci sta persino la citazione, essendo Pasternak mia passione antica:

Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi
e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno,
non si può non incorrere alla fine, come in un’eresia,
in un’incredibile semplicità.

Cioè, i fenicotteri rosa, quando sono in acqua, stanno su una zampa perché hanno freddo all'altra. Chiaro, no?

E il litigio domestico? E i soliti e infinitamente ripetuti motivi di scontro? Qui in realtà basta proseguire con la poesia.

Ma noi non saremo risparmiati,
se non sapremo tenerla segreta.
Più d’ogni cosa è necessaria agli uomini,
ma essi intendono meglio tutto ciò che è complesso...

Meglio fermarsi qua, dài, che domani è già prefestivo.

sabato 21 maggio 2011

Da papà a papà

E alla fine resta solo quella frase sentita migliaia e milioni di volte, la frase con cui iniziano gli articoli del giorno dopo, «non ce l’ha fatta». Uno schifo di frase maledetta. «Non ce l’ha fatta». Ci son volute ore per prendere la decisione, il sangue che non affluisce più al cervello, le pratiche per l’accertamento di morte. Non aveva neanche due anni, la piccina.  E nessuno può capire, nessuno può immaginare. «Ma com’è stato possibile? Ma come ho fatto?». Ed è e sarà la domanda della vita, hai passato gli ultimi giorni e le ultime notti cercando di capire il quando e il come e il perché, ripercorrendo i minuti e i secondi - la memoria che s’inceppa, prigioniera di gesti quotidiani che da chissà quanto tempo si ripetono meccanicamente, e però quella mattina prima di andare a far lezione c’era da accompagnare la piccola Elena al nido, e invece l’hai lasciata lì dietro, sul sedile posteriore, legata al seggiolino - «dormiva? sì che dormiva...» -, e immerso nei pensieri sei sceso dalla macchina e hai chiuso la portiera dietro di te e la tua bimba è rimasta cinque ore nel parcheggio sotto il sole. «Dimenticata. Me la sono dimenticata». E poi lo sguardo di tua moglie, lo sguardo che ti si rivolgeva quasi implorante, «com’è stato possibile?». Ma ecco qualche speranza, i medici, «non è in pericolo di vita», il respiro che resiste, l’incapacità di credere che possa davvero accadere - e ti torna in mente quando correvi verso l’ospedale con tuo padre lì davanti in ambulanza che s’era sentito male improvvisamente, e l’eventualità che potesse morire era come non fosse contemplata. E invece niente, gli esami rivelano un’edema cerebrale, le complicazioni renali, «l’elettroencefalogramma non è piatto ma non è normale». Fino al «non ce l’ha fatta». Abbassi la testa, e chiudi gli occhi senza più lacrime. Vuoti, come vuoto è il cuore.

E davvero non si può capire, davvero non si può immaginare. Per dire, chiunque abbia la fortuna di guardare il proprio figlio che dorme, rendendosi conto di come sia vita per la quale sacrificare la propria, e quasi spaventandosi per l’amore che ti ci lega: e il timore che gli possa accadere qualcosa di male per poco non ti provoca dolore fisico. «Dimenticata. Me la sono dimenticata». Che ti si ghiaccia l’anima soltanto a pensarci. Ne parlano come di un papà eccezionale, il veterinario-chirurgo di Teramo, e di certo lo è. Chi l’ha potuta osservare, in questi giorni, descrive una coppia ancora unita, sia pur comprensibilmente molto provata. La signora, anch’essa medico, è incinta di otto mesi: una nascita che potrebbe significare salvezza. E lei stessa dichiara che «quel che è successo a Lucio può capitare a ognuno di noi, perché non ci si ferma mai e lui non si fermava perché doveva preoccuparsi di me, della mia gravidanza, della piccola Elena, della casa appena costruita...». E ancora: «Voglio dare al mondo intero l'amore del mio compagno verso la figlia, padre esemplare! Non è colpevole di niente! Elena adorava il suo papà e la prima parola di Elena è stata bà bà...». Parole d’amore che commuovono, parole cui aggrapparsi per non affogare. Ma che mai riusciranno a cancellare il dolore. Adesso ci sarà l’inchiesta, forse si passerà da abbandono di minore a omicidio colposo. Ma il linguaggio giuridico è a volte così lontano dalla vita, e dopo i primi accertamenti - fugaci poiché senza necessità di particolari approfondimenti, tant’è lampante la dinamica - è venuta fuori una parola che, per un genitore, è la condanna peggiore: «Distrazione. Di quelle gravi, ma è stata una distrazione». Terribilmente banale, ma è così.

E certo è evento eccezionale, ma di episodi del genere se ne ricordano diversi. A memoria ce ne vengono in mente un paio, qui in Italia: a Catania, nel ’98, e nel Lecchese tre anni fa. E con modalità del tutto identiche - il figliolo in auto, la corsa verso il lavoro scordandosi di passare per l’asilo, la scoperta e il tardivo intervento medico. E sempre famiglie solide, sane, nient’affatto assimilabili al cliché dei genitori snaturati. E magari oggi gli si chiede di raccontarne, giusto per capire come si possa riuscire  a sopravvivere a un dolore del genere. E però loro no, non ne parlano. Perché ci sono cose che vanno lasciate lì, da parte, senza sperare di dimenticarle, forse nemmeno volendolo, ma lasciando che la polvere del tempo perlomeno ne copra la vista alla memoria. Almeno a quella quotidiana.

E poi subito ci sarà chi provvederà ad aprire il librone mentale dei luoghi comuni. Ed ecco la  troppa importanza che troppe volte diamo a troppe cose in realtà risibili. E i ritmi insostenibili di una società che tritura esistenze come fossero carburante. E il «bisogna tornare ai valori veri». E saranno anche considerazioni condivisibili, ma tutto quello che avremmo voglia di fare in questo momento è - da padre a padre - abbracciare quell’uomo. Quel papà.

Per quel che può servire.

Cioè niente.

giovedì 19 maggio 2011

Commento elettorale a freddo (bi e tri e grill-partisan)

Gli stronzi vengono a galla.

                              - Zanna -

P.S. - Spettiniamo la Moratti.

Amicizie

Cioè, adesso la Moratti cerca di virare la sua infamata sostenendo che vuole evidenziare come Pisapia, in passato, coltivasse amicizie nell’ambiente terroristico, amicizie che - a dire della parrucchiera di Palazzo Marino - lo renderebbero incompatibile con la carica di sindaco.
Amicizie.
E lei è del partito di Berlusconi.
Le amicizie.
Di Pisapia.
E quelle di Berlusconi.
Tipo Previti, condannato in via definitiva per corruzione in atti giudiziari, e ce l’aveva nominato addirittura ministro.
Oppure Dell’Utri, condannato in due gradi di giudizio (manca la Cassazione) per concorso esterno in associazione mafiosa, e due anni patteggiati per frode fiscale.
O, ai tempi, Craxi.
E anche Mangano lo stalliere, che addirittura il Berlusca l’aveva assunto ad Arcore negli anni Settanta, e poi Borsellino lo definì «una delle teste di ponte della mafia al nord»,  e fu condannato nel 2000 (poco prima di morire) all’ergastolo per duplice omicidio.
Continuiamo?
Le amicizie.
Sì, di Pisapia.
E il garantismo?
Magari un altro giorno.
Dopo le elezioni.
E la vergogna?
Quella mai.

INFO - Per errore questo post, che era di giovedì 12 maggio, ha cambiato di posizione. E non chiedetemi perché....

lunedì 2 maggio 2011

L’ultimo duello fra le due icone più pop del millennio


Obama e Osama, e già sull’assonanza dei nomi i maniaci di segni premonitori ne avrebbero parecchie da dire. E comunque, trattasi senza dubbio delle due personalità-simbolo di quest’inizio di millennio.

Il terrorista imprendibile, da una parte quasi venerato – magari senza darlo sempre a vedere –  da milioni di fondamentalisti musulmani i più incattiviti, emblema della possibile rivalsa nel nome di Allah, e d’altro canto odiato come personificazione del Male Assoluto  dall’occidente panzuto e impaurito - e però, sotto sotto, persin ammirato nemmeno tanto velatamente dai nostalgici del collasso del sistema, unico guerrigliero in grado di far tremare il sempre odiato colosso yankee

E poi il presidente nero, simbolo (sbiadito?) della lotta contro tutti i razzismi, illusione (delusa?) di un nuovo ordine internazionale senza prevaricazioni troppo esplicite, promessa (disattesa?) di una società americana - e quindi occidentale - meno egoista.  E però sempre un gran bel testimonial, yes we can.

E per l’uno e per l’altro, ognuno nel suo campo d’azione - nel suo territorio -, agiografie e leggende e speranze e addirittura preghiere, giù giù fino alle spille e ai fumetti e alle magliette.

Le due icone pop, le più popolari del pianeta, si potrebbe dire.
Uno di fronte all’altro.
Uno contro l’altro.
Ma quando c'è di mezzo il marketing, non c'è con
fronto.
E quando un uomo con la pistola incontra uno col fucile, quello con la pistola è un uomo morto.
E il finale del western è sempre lo stesso, altrimenti che western è?
E insomma, ha vinto l’americano.
E per fortuna: se vogliamo mantenerla sull'emblematico, vista - come dire? - l'organizzazione di società che avrebbe impostato quel folle dello sconfitto se per paradosso avesse invece prevalso, ecco, va bene così, no? E certo che è meglio così, mica c'è dubbio.

E però, cazzo, c'è questa cosa: ma perché alla fine ci resta sempre in bocca questo sapore amarognolo?
E' forse la controindicazione di concetti ambivalenti quali nemico e vendetta?
Vabbé, passami il sale. E cambia canale, che di là c'è la partita.

E adesso via, complottisti di tutto il mondo, unitevi, che è il vosto momento.

P.S. - Da ricordare l'epocale sciocchezza dello specialista Gasparri, quella che sparò il 5 novembre del 2008: «Con Obama alla Casa Bianca forse Al Qaeda è più contenta», così disse. E bravo il Gasparri, lui sì che c'ha la vista lunga.

mercoledì 27 aprile 2011

La rivolta dei barboni

La rivolta dei barboni, così se ne parlava a Bologna nei primi giorni d’aprile. Possibile? No, rivolta suona magari esagerato, però insomma si sono arrabbiati. Quelli che vivono per strada, i senza-fissa-dimora. Saranno stati un centinaio. Han preso coperte, sacchetti, cartoni. Sono andati davanti al Comune, con il supporto della storica associazione Piazza Grande. Si sono accampati lì per protestare – sì, per protestare, e perché, i barboni non possono protestare? Gli hanno chiuso il dormitorio, quello ch’era stato aperto per “l’emergenza freddo”, che così almeno nel gelo invernale non ne moriva uno alla settimana e non sporcava l’immagine della città equa e solidale. E  però poi basta, finito, andate per strada - andate a lavorare, barboni - tanto ormai è arrivato il caldo. E allora sciò, sloggiare. E loro si sono accampati là, davanti al Palazzo, quattro giorni e quattro notti, «tanto che cosa vuoi che cambi, per noi? Ci siamo abituati. E poi perché chiudere i dormitori? E’ una crudeltà inutile».

Una crudeltà.

Tanto che alla fine in Comune han deciso di lasciarlo aperto fino a giugno, quel dormitorio  – cioè, l’ha deciso il commissario straordinario, perché Bologna è commissariata fin dopo le imminenti elezioni. Dunque fino a giugno la situazione è tamponata, così almeno non ci sono polemiche sotto elezioni, che non sta bene. Da fine giugno in poi si vedrà, ci sono rassicurazioni di massima ma in sostanza ancora non si sa se ci saranno letti a sufficienza per i senza-casa. Non si sa dove potrà andare a dormire, quel centinaio di persone. Il problema è che i centri di questo genere sono sempre una scocciatura da gestire, «ci vorrebbero condizioni di sicurezza difficili da garantire», così dicono. Per tenere a bada i barboni. 

Loro sì che son pericolosi.
I barboni, intendo.

E però a Firenze c’è chi s’è spaventato davvero. Comprensibilmente, accidenti. Nel senso: uno, un clochard – per dirla alla francese –, e insomma un barbone sulla quarantina, lui che s’aggira giorno e notte per il centro insieme con altri due disperati, ecco, stavolta è entrato nella basilica di Santo Spirito e ci ha gettato un petardo che ha fatto un gran botto. Aveva bevuto come al solito, forse non si rendeva conto, certo è che ha fatto quest’idiozia. E tutta la gente in Chiesa ha fatto un salto così. E s’è arrabbiata, com’è ovvio, tanto che hanno preso il barbone e ancora un po’  e gli facevano fare una brutta fine.
Poi l’hanno mollato, le guardie l’hanno preso e portato via e poi denunciato.
Adesso sarà tornato su un’altra panchina.
A fare il barbone.
E proprio sotto l’articolone uscito sul giornale cittadino, sezione primo piano Firenze, ecco il riquadro con questo titolo, «intanto è partito il restyling».

Il restyling.
E dove c’è il restyling non ci sono barboni, altrimenti che restyling è?

E una volta ne avevo conosciuto uno, se ne stava sempre in giro e poi sul finire del pomeriggio lo vedevi arrivare ai giardini di Sant’Eustorgio, qui a Milano. Non ne sapevo il nome, lo chiamavo Aldo, così, tanto per dirne uno, e lui mai m’aveva corretto. E mi guardava e aspettava la moneta e poi mi sorrideva e mi diceva «state attenti! state attenti!». E sempre sghignazzando ripeteva che «noi siamo i padroni degli angoli, conosciamo i tombini, chiaccheriamo coi topi», e poi concludeva che «la città è nostra, noi siamo la città», e poi se ne andava. I barboni che fanno la rivolta? Ma figurati, loro hanno già troppo da fare, ognuno coi suoi démoni da tenere a bada - e quelli, i démoni, mica scherzano. «Però non ci dovete trattare come bestie – così mi diceva Aldo -. No. E poi state attenti». Ancora? «Sì, perché siamo sempre di più». E mi spiegava che «io ne vedo di nuovi ogni giorno, e però a questi gli devi spiegare che non è che possono arrivare belli belli e prendersi il posto che più gli aggrada, eccheccazzo. Ci sono delle regole, ci sono. Vai a cercarti il tuo angolo e buona fortuna fratello, speriamo di rivederci, altrimenti riposa in pace».

Il fatto è che tutti pensano sia facile, fare il barbone. Aldo una sera me l’ha spiegato, me lo ricordo come fosse oggi, «credono che non abbiam voglia di far niente. Ma guarda che non è mica così semplice. E’ che non ce la facciamo, non ce la facciamo a starci dentro. E adesso io non sono mica più un ragazzino. Giro per la città, bevo quel che trovo, mi siedo dove capita e dormo dove capita e poi mi sveglio dove capita e ricomincio, se c’è qualcuno con cui parlare va bene altrimenti parlo da solo che va bene lo stesso. Sopravvivo, che cosa devo fare? Sopravvivo». E poi sembrava si fosse messo a piangere, ma s’era coperto il viso e ne era riemerso con la sua solita risata.

«E non m’interessa di vestirmi, di farmi la barba, di lavarmi i capelli. Mi frega solo che qualcuno mi allunghi qualche spicciolo, devo fare la giornata, mica c’ho tempo da perdere, io. Qualcosa da bere e da mangiare. Una panchina, adesso che non c’è più freddo basta una panchina. Altrimenti è dura,  ci vuole l’angolo giusto, e qui in città sono tutti occupati, gli angoli giusti, quelli riparati dal vento. Che cosa credete, che è facile? No, non è facile per un cazzo. Prova tu a vivere per un giorno da barbone, poi mi dici».

Non è facile per un cazzo, fare il barbone.
Ma non fateci arrabbiare.
Siamo tanti.
Siamo sempre di più.
Siamo sporchi come la vostra coscienza.
La rivolta dei barboni? Sarebbe un sogno.
Ma ce l’hai una moneta?

lunedì 25 aprile 2011

La parte sbagliata

Inutile aggiungersi alle lenzuolate più o meno retoriche che sempre coprono il 25 aprile. Solo, in quest’epoca di reinterpretazioni pseudo-storiche che meschinamente  vengono utilizzate più che altro per strumentalizzare il presente, e di miserabili insofferenze bipartisan per qualunque ricorrenza che possa risultare condivisa o perlomeno condivisibile, ecco, c’è da ribadire una cosa. Ai tempi della liberazione – la liberazione dalla dittatura fascista e dall’invasore, quella lì – a quei tempi, e soprattutto subito dopo, non era poi così facile stabilire quale fosse la parte giusta. Di certo, però, si può dire qual era la parte sbagliata. Era quella che stava con i nazisti – i nazisti, presente? Baffetto e camere a gas e passi dell'oca e razze pure e SS e via agghiacciando.
Banale, ma è così. Ed è meglio ricordarselo.  
Tutto il resto sono pippe.

martedì 19 aprile 2011

Quando l'inferno è l'unico rifugio
La vita sull'orlo della guerra

[foto da iPhone, 14-17 aprile 2011]

Vuoi sapere che cos'è un campo profughi? Lo vuoi sapere? È un inferno, ecco che cos'è. Con il vento che solleva la sabbia e la sabbia che ti taglia la faccia e insomma, non è per dire ma qui fra un mese faranno 45 gradi. Eppure ci sono giorni in cui l'inferno è l'unico luogo che ti dà accoglienza, l'unico rifugio sicuro. Un inferno che ti salva, ecco che cos'è il campo profughi. Poi però bisogna uscirne. E uscire dall'inferno non è mai così facile.





















Ras Jedir è la frontiera che separa la Tunisia dalla Libia, la rivoluzione conclusa dalla rivolta in atto, la pace dalla guerra. Il ragazzo tunisino addetto a tenere il conto dei profughi in entrata, quelli che scappano dalle bombe, ci mostra l'elenco delle ultime ore. E dunque: 2.633 libici, 108 tunisini, 88 del Ciad, 40 somali, 26 marocchini, 10 del Bangladesh, 4 della Mauritania, 4 italiani, 3 tedeschi, 3 algerini, 2 della Ghana, 2 eritrei, 2 della Nuova Guinea, 1 greco, 1 inglese, 1 nigeriano. 



































E i due ragazzi ghanesi li incontriamo subito dopo il confine, seduti sui gradini del bar, giubbotti e cappelli di lana calati sugli occhi nonostante il gran sole – e però il vento del deserto è forte, oggi. E si portano dietro tutto quel che sono riusciti a raccattare, due sacchi pieni di roba e soprattutto un grosso e vecchio televisore, di quelli che noi definiremmo anni Settanta. Hanno l'aria esausta. «Libia, Tunisia, poi Ghana» così ci riassumono i loro programmi, facendo il segno dell'aereo con la mano. E poi? Allargano le braccia, «poi non si sa».  


















Il campo più grande si chiama Sciuscià, perlomeno così si pronuncia, in arabo vorrà pur dire qualcosa ma certo per l'italiano assume un significato evocativo. Si distende proprio di fianco alla strada che esce alla frontiera, tende a perdita d’occhio, ora saranno 5-6mila persone ma solo una settimana fa erano molte di più. Ed è tutto un brulicare di gente che cammina e che parla e dorme sul ciglio in attesa d'entrare e s'accalca davanti all'autobus in partenza per chissà dove oppure si mette in fila per chissà che cosa.  E poi i bambini, loro giocano.  




















E davanti al campo è nato un  mercato, un  mercato vero, decine di furgoncini più o meno scassati che vendono di tutto, roba da mangiare e vestiti e deodoranti e borse e scarpe. C'è un ragazzo che ne sta guardando un paio, le osserva  e le controlla e poi ne chiede il prezzo, gli viene risposto «19 dinari». Mouldi mi fa cenno, s'allontana un paio di passi e commenta, «quelle, in paese, al massimo 5 o 6 dinari».




















D'improvviso s'alzano grida ritmiche e battiti di mani. È un gruppone di rifugiati, qualche centinaio, marciano sulla strada che sembra un corteo di protesta, e in effetti è proprio così, stanno protestando. Sono i profughi originari del Bangladesh, in Libia erano migliaia, più che altro operai e manovali non qualificati. È venuto qui pure un rappresentante del loro governo, governo che però è povero quanto loro. E insomma, sono riusciti a rimpatriarne molti, ma adesso i soldi sono finiti e per questi non c'è modo di provvedere. Il gruppo avanza sventolando le bandiere del Paese, scandisce «Ban-gla-desh! Ban-gla-desh!», con gli altri ai lati della strada che li guardano, per la verità inespressivi. Percorrono in questo modo cinquecento metri, poi si fermano e smettono di gridare e rientrano nell'accampamento. 


















Vediamo una donna, se ne resta in disparte, ferma immobile con le braccia incrociate e lo sguardo lontano, e intorno i suoi bambini giocano e ridono. E lei niente, nemmeno un movimento, un’espressione, pare un albero. Ci avviciniamo e cerchiamo di parlarle, lei non reagisce. Chiediamo se possiamo farle una foto, i bambini ripetono quasi festosi «foto! foto!» e la indicano e le girano intorno. Lei continua a guardare lontano e non dice niente, solo incrocia le braccia. Mouldi mi prende per un braccio, «andiamo, lasciamola in pace, c'è solo una cosa che lei vuole davvero».




















Lei vuole tornare a casa.

lunedì 11 aprile 2011

Contrappasso padano

Adesso Maroni e gli altri verdastri padani han pure la faccia di dire che «vedremo se abbiamo di fronte un’Europa unita e solidale oppure no», e il ministro lo dichiara perché Francia e Germania -  e questo è un fatto innegabile – oppongono un atteggiamento indifendibile di fronte alla marea di migranti disperati che quotidianamente fugge dal nord Africa per dirigersi nel cuore d’Europa, Francia e Germania comprese.

Tornando ai leghisti, questi - spalleggiati dall'amico Silvio - in sostanza concludono che allora no, forse non ha senso restare nell'Unione Europea, tanto varrebbe uscirne - posizione invero mica tanto nuova, dalle parti di Pontida. E però ci sarebbe anche da dire che proprio Francia e Germania stanno opponendo all’Italia l’atteggiamento che la stessa Lega ha sempre tenuto nei confronti dell’immigrazione, e che tutt’oggi terrebbe se fosse l'Italia - anzi, la Padania - al loro posto, vale a dire «i negri straccioni non li vogliamo, teneteveli e fatti vostri».

Ce ne sarebbe da rifletterci su, se i leghisti fossero persone serie.
Non lo faranno.