lunedì 29 novembre 2010

Tu quoque Obama

Siamo soltanto all’inizio, e già la diffusione da parte di Wikileaks dei report diplomatici più o meno segreti – qui sul Post uno schema per capirne – stanno provocando sconquassi mediatici planetari – politici meno, poi si vedrà. Per ora sul nostro presidente del Consiglio non è nemmeno uscito granché – cioè, granché dal punto di vista italico, ché ormai siamo abituati a tutto: nel senso, del suo quasi patologico puttaneggiare se ne sapeva eccome, e anche del suo godere nel prestarsi a scendiletto di Putin. E lui, Berlusca, per ora se la cava con una sorta di mussoliniano «me ne frego» (poi bisognerà vedere se uscirà qualche imbarazzante retroscena dei suoi affarucci con l’amico Vladimir, ma allo stato attuale non ce n'è traccia). In ogni caso, Palazzo Chigi ha poco da far spallucce: i giudizi dell’ambasciata americana rispecchiano tristemente ciò che dell’Italia si pensa nel mondo. E non è proprio il massimo.

C’è però una prima, importante vittima di quest’operazione, i cui contorni restano per la verità piuttosto sfocati. Ed è la stereotipata immagine di Barack Obama. L’Obama buono, dialogante, il messia che avrebbe finalmente rimesso in moto il progressismo mondiale. L’uomo nuovo che prima dell’elezione alla Casa Bianca ci aveva conquistato tutti, me per primo. E insomma, già nei mesi scorsi si era parlato di come, in Afghanistan, bombardi che sembra Bush, e con gli stessi scarsi risultati. Poi, dopo la bastonata repubblicana delle elezioni di mid-term, lo senti preannunciare che la sua epocale riforma sanitaria andrà per forza annacquata. E adesso vien fuori che la sua amministrazione, tramite Hillary Clinton, faceva spiare i vertici delle Nazioni Unite – ricordate quando noi e molti altri s’insultava Bush perché se ne sbatteva dell’Onu? – e, alla faccia del multilateralismo, considera richieste ed esigenze dell’Europa meno di zero. Addirittura Julian Assange, che di Wikileaks è il centravanti, definisce quello di Obama «un regime contro la libertà di stampa». Pensa te.

La verità è che dell’America, qui dall’altra parte dell’oceano, abbiamo sempre capito poco.

Nessun commento:

Posta un commento